Il grande gioco fiscale: come i giganti della tecnologia hanno eluso 278 miliardi di tasse. Estratto del Settimanale “Tech e Privacy”, la newsletter di Claudia Giulia Ferrauto.
Nel cuore pulsante della Silicon Valley, dove l’innovazione sembra non dormire mai, sei colossi tecnologici – Amazon, Meta, Alphabet, Netflix, Apple e Microsoft, noti come i “Silicon Six”- hanno costruito imperi digitali che generano ricchezze inimmaginabili.
Il 15 aprile 2025, un’analisi della Fair Tax Foundation (FTF) getta però un’ombra su queste potenze: negli ultimi dieci anni, avrebbero evitato di pagare quasi 278 miliardi di dollari in tasse, rispetto a quanto dovuto secondo l’aliquota legale per aziende con profitti simili.
Immagina una sala riunioni, vetri scintillanti e schermi che proiettano numeri da capogiro: 11 trilioni di dollari di ricavi e 2,5 trilioni di profitti generati dai Silicon Six tra il 2014 e il 2024. Eppure, mentre il resto delle aziende americane pagava in media il 29,7% in tasse federali e statali, queste sei aziende hanno versato solo il 18,8%. Se si escludono i pagamenti straordinari legati a vecchie pratiche di elusione fiscale, la loro aliquota effettiva crolla al 16,1%. Come ci sono riusciti? La risposta sta in una rete intricata di strategie fiscali, spesso legali ma eticamente controverse, che spostano profitti verso paradisi fiscali come il Lussemburgo, dove Amazon, ad esempio, registra gran parte dei suoi guadagni britannici.
Ogni azienda ha il suo ruolo in questa partita. Netflix, con un’aliquota effettiva del 14,7%, è la meno virtuosa in termini percentuali. Meta segue con il 15,4%, Apple con il 18,4%, Amazon con il 19,6% e Microsoft con il 20,4%. Alphabet, la casa madre di Google, completa il gruppo. Ma non è solo una questione di numeri: l’FTF punta il dito contro Amazon per il suo “comportamento fiscale scorretto”, accusandola di pratiche evidenti come lo spostamento di profitti in giurisdizioni a bassa tassazione. Paul Monaghan, amministratore delegato dell’FTF, non usa mezzi termini: “L’elusione fiscale è radicata nelle strutture aziendali di queste società. La loro contribuzione fiscale è ben al di sotto di settori come banche ed energia in molte parti del mondo.”
La storia dei Silicon Six non è solo una questione di dollari e centesimi. È un racconto di potere, di come le aziende più influenti del pianeta abbiano sfruttato le pieghe di un sistema fiscale globale per massimizzare i profitti, mentre i governi faticano a tenere il passo. Negli Stati Uniti, dove l’aliquota legale per le imprese era più alta di quella effettivamente pagata, questo divario ha privato il fisco di risorse che avrebbero potuto finanziare scuole, ospedali, infrastrutture. E mentre i Silicon Six continuano a plasmare il nostro futuro digitale, la domanda si fa pressante: chi paga il prezzo della loro ascesa?
A mio parere, l’elusione fiscale dei Silicon Six evidenzia una discrepanza tra legalità e moralità. Strano, chi avrebbe mai pensato che aziende multimiliardarie abbiano un doppio standard, giusto? In fondo diventare multimiliardari è notoriamente solo questione di forza di volontà e una buona idea in tasca. Meglio ancora se l’idea è di tipo fiscale.
Ora, sebbene le loro strategie siano spesso poco trasparenti, non è detto che non si muovano all’interno di strategie lecite, ma drenano risorse pubbliche, caricando il peso fiscale su cittadini e PMI. Una riforma fiscale globale è necessaria, ma l’influenza delle big tech su scala sovranazionale rende improbabile – per non dire impossibile – un cambiamento rapido.
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