Dall’impianto di Ferrara alla visione della Società 5.0: l’amministratore delegato Leonardo Salcerini racconta la strategia di Toyota Material Handling tra automazione, energia pulita e radici territoriali
C’è un po’ di Giappone nel cuore dell’Emilia-Romagna. Parte del Gruppo Toyota Material Handling, leader in Europa e sui mercati internazionali, in Cina, Giappone e Nord America, la sede di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, non si limita a ottimizzare le attività di movimentazione delle merci. Lo fa con uno sguardo rivolto al futuro, l’attenzione alla sostenibilità, seguendo la vision della casa madre giapponese, ma con un approccio italiano e, più precisamente, emiliano.
Sguardo che emerge molto chiaramente dalle parole dell’AD di Toyota Material Handling Italia, Leonardo Salcerini.
Qual è il vostro punto di vista sull’innovazione?
«Riteniamo che l’innovazione debba partire da una visione ampia e concreta della società. Quella di Toyota prende ispirazione dalla Società 5.0, lanciata in Giappone nel 2019, e fondata su due riflessioni cruciali: l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico, due tendenze che toccano da vicino anche l’Italia.
Fu l’allora Primo Ministro Shinzo Abe a convocare imprenditori e opinion leader per cercare soluzioni a queste sfide. La risposta è stata puntare sull’automazione, per compensare la futura carenza di manodopera, e sviluppare prodotti e servizi in grado di migliorare la qualità della vita di una popolazione sempre più anziana.
In Italia, purtroppo, il concetto di Industria 5.0 si è tradotto principalmente in incentivi fiscali per gli investimenti, senza una visione di lungo periodo. Toyota, invece, ha adottato pienamente il modello giapponese, lavorando con determinazione sull’automazione, anche nel settore della logistica, e sull’innovazione legata all’energia.
In particolare, stiamo investendo molto nello sviluppo di tecnologie basate sull’idrogeno. Anche in assenza di un’infrastruttura adeguata e di investimenti pubblici in questa direzione, Toyota continua a credere fortemente nell’idrogeno come fonte energetica alternativa. Al contrario, non riteniamo che la mobilità full electric rappresenti l’unica strada percorribile».
Perché Toyota, un po’ in controtendenza, punta sull’idrogeno?
«Perché non esiste una sola soluzione al fabbisogno energetico globale. Toyota è stata la prima azienda a lasciare i motori diesel, ma non ha mai ritenuto il full electric una risposta sufficiente.
Crediamo in un mix di fonti e riteniamo che l’idrogeno possa arrivare a coprire tra il 12 e il 15% del fabbisogno energetico totale. La nostra visione del full hybrid del futuro è proprio questa: idrogeno ed elettrico insieme. Con l’idrogeno che ricarica la batteria in tempo reale, possiamo ridurre le dimensioni del pacco batterie, garantire ricariche rapide, nessuna emissione e tempi di rifornimento comparabili a quelli dei carburanti tradizionali».
Come funziona la vostra attività di ricerca e sviluppo in Italia?
«Siamo molto orgogliosi di aver realizzato a Ferrara il primo impianto a ciclo completo per la produzione di idrogeno verde. È un progetto interamente italiano: dai pannelli solari sul tetto, fino ai materiali e ai partner coinvolti. L’impianto include tutto: produzione, stoccaggio, compressione e distribuzione dell’idrogeno, utilizzato per alimentare i nostri carrelli. Anche se fa parte del mondo Toyota, lo sviluppo è stato portato avanti da team di ricerca e aziende locali. È un esempio concreto di eccellenza italiana applicata a un progetto di respiro internazionale».
Come affrontate il tema della sostenibilità?
«So che la mia può sembrare un’opinione un po’ particolare, ma credo che le grandi trasformazioni debbano essere guidate dal mercato, non imposte da vincoli legislativi rigidi e scadenze forzate. Toyota ci ha dato gli strumenti per costruire un’infrastruttura a emissioni zero, con un investimento da 50 milioni di euro e impatto ambientale nullo.
Ma questo è possibile grazie alla nostra solidità. La filiera, fatta anche di tanti piccoli fornitori, fa più fatica ad adattarsi a cambiamenti così drastici. Un’economia fragile ha bisogno di accompagnamento, non di scadenze che rischiano di penalizzare chi non ha le stesse risorse. L’obiettivo del 2035 per l’elettrico, ad esempio, è molto ambizioso e potrebbe avere ricadute difficili per il settore».
Qual è il vostro rapporto con il territorio dell’Emilia-Romagna?
«L’Emilia-Romagna è parte integrante del nostro ecosistema. Circa l’80% dei nostri fornitori si trova entro un raggio di 100 km.
Per questo non ci piace essere identificati solo come una multinazionale: preferiamo definirci un’azienda italiana con capitale estero. Il territorio ci offre qualità, affidabilità e specializzazione. Investire qui è stata una scelta strategica. Non è un caso se due delle tre sedi produttive europee più importanti di Toyota si trovano proprio in Emilia-Romagna».
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