Investimenti nelle aziende che puntano sulle rinnovabili e nell’imprenditoria femminile. Per aiutarle a essere più competitive. Parla la dirigente di Intesa Sanpaolo
«La strada per la competitività parte dalla sostenibilità». Parole di Anna Roscio, executive director sales & marketing Imprese Intesa Sanpaolo. Sono anni che il primo gruppo bancario italiano crede nei pilastri Esg – acronimo di Environmental, Social e Governance – tre dimensioni che vengono usate per valutare l’impatto ambientale e sociale di un’azienda. «Il gruppo si è dato come criteri d’azione i valori Esg e in particolare ha messo la sostenibilità al centro del piano d’impresa, come dimostra l’assunzione degli impegni nell’ambito della Net zero Alliance», l’alleanza di settore – promossa dalle Nazioni Unite nell’ambito degli accordi di Parigi del 2015 – che mobilita le banche di tutto il mondo nell’impegno di allineare i propri portafogli all’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. Ormai da un quinquennio l’attenzione di Intesa Sanpaolo viene rivolta alle piccole e medie imprese italiane – quelle, cioè, che hanno fino a 250 dipendenti – che compongono gran parte del tessuto produttivo del Paese. Circa il 95 per cento del totale, secondo l’ultima rilevazione Istat del 2022, è rappresentato dalle microimprese con al massimo 9 dipendenti. «È dal 2020 che lavoriamo con le Pmi verso la riduzione delle emissioni, soprattutto perché crediamo che sia un processo che ha profondi risvolti positivi – ricorda Roscio – Abbiamo spinto soprattutto su filoni come quello delle energie rinnovabili, perché un’azienda che implementa fonti green si rende sempre più indipendente dalle risorse tradizionali che hanno un mercato più volatile. Così si riducono i costi e si stabilizza il cash flow. L’approccio si è strutturato intorno a linee di finanziamento che sono specificatamente dedicate. Inoltre, ci sono incentivi al raggiungimento di alcuni obiettivi di sostenibilità. Abbiamo già erogato alle Pmi oltre dieci miliardi di finanziamenti. Il nostro Research Department ha messo a confronto un campione di società che hanno fatto investimenti in questo senso con chi non lo ha fatto, e ha visto che il primo gruppo è cresciuto di più in termini di fatturato».
Lo studio mostra che in alcuni settori come quello dell’elettrotecnica, dell’automotive o agroalimentare chi ha installato impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili si colloca tra le imprese che performano di più nei propri campi. Circa due intervistati su tre, inoltre, ha dichiarato che le nuove tecnologie hanno aiutato a ridurre i consumi e a rendere la produzione più efficiente. «Facciamo anche informazione e formazione nelle aziende: proponiamo loro un questionario Esg da compilare, e sulla base del quale consegniamo un report da cui emerge il loro posizionamento per territorio e segmento produttivo e focalizza l’implementazione dei rispettivi obiettivi in sostenibilità. Dal nostro osservatorio vedo un ottimo dinamismo: le aziende sanno che questa strada è giusta sia dal punto di vista etico, ma ancor di più da quello industriale», spiega la dirigente.
Tra le varie iniziative c’è quella relativa alle Cer, le Comunità energetiche rinnovabili. Inserite anche nel Pniec, il piano nazionale integrato per l’energia e il clima, sono un insieme di cittadini, Pmi, enti territoriali e autorità locali che condividono l’energia elettrica prodotta da impianti nella disponibilità di uno o più soggetti che sono associati alla comunità. «Il progetto delle Cer è interessante perché di fatto incentiva il privato a investire nelle rinnovabili. L’energia prodotta viene utilizzata per il proprio consumo, ma la parte eccedente viene messa in rete in favore della comunità. In questo modo si lavora su territorio e c’è un forte valore sociale, perché consente a soggetti che non hanno possibilità di accedere a una rete di un farlo grazie agli investimenti di qualcun altro. Il Pnrr ha sostenuto questo progetto con incentivi sia dedicati ai privati per l’energia prodotta, sia ai comuni con meno di 5.000 abitanti che beneficiano di contributi a fondo perduto. C’è stata una buona risposta soprattutto dei piccoli centri, anche perché è stata coinvolta la parte pubblica e associativa. La diffusione di queste iniziative è stata un po’ in tutta Italia. Per esempio, sulla costa adriatica abbiamo sviluppato dei progetti molto interessanti con le associazioni degli albergatori».
Dal green, si passa all’imprenditoria femminile. Anche qua il gruppo bancario viene in sostegno alle quote rosa dell’impresa con finanziamenti ad hoc per sostenere il settore. «Il fenomeno è in aumento negli ultimi anni. Ma oggi serve crescere non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello qualitativo. Fino a poco tempo fa si concentrava principalmente ad alcuni ambiti come commercio, ristorazione o servizi alla persona: settori più volatili ed esposti ai cambi di ciclo. Sono quelli che sono stati in grande difficoltà durante il Covid. Oggi assistiamo a un cambiamento dell’imprenditoria femminile che si rivolge anche ad attività manifatturiere a capitale tecnologico. È una rivoluzione che è dovuta anche a un maggiore accesso delle donne alla formazione stem. C’è una rinnovata capacità di porsi a livello internazionale. Noi abbiamo dei progetti dedicati, anche con la Fondazione Bellisario, nella formazione e nella valorizzazione e informazione delle imprese. Nel 2023 abbiamo ampliato a un miliardo il plafond di finanziamenti che è stato completamente saturato. Ha avuto così successo che alla fine dello scorso anno abbiamo deciso di rilanciarlo».
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