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In questo mondo di dazi, Trump spaventa (ancora) i mercati: “Presto tariffe sui semiconduttori”


Roma, 13 aprile 2025 – Oggi è il giorno dei semiconduttori. Dopo le retromarce sui “dazi reciproci” al resto del mondo (tranne la Cina) e l’esenzione per smartphone e pc (“solo temporanea”), Donald Trump annuncerà i dazi sui semicconduttori: “Saremo molto specifici”, ha detto il presidente degli Stati Uniti, per poi continuare con il suo slogan: “Stiamo incassando un sacco di soldi. Come Paese, stiamo incassando un sacco di soldi”.

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I semiconduttori

A spiegarne le intenzioni è stato il segretario al commercio americano Howard Lutnick in un’intervista ad Abc: “I prodotti di elettronica rientreranno nei dazi settoriali. Si tratterà di tariffe speciali che arriveranno presto”, ovvero potrebbero “essere imposte tra circa un mese”. L’amministrazione ha evidentemente deciso di intervenire in maniera più chirurgica per cercare di evitare ripercussioni su prodotti popolari negli Usa come gli iPhone. “I dispositivi elettronici saranno esaminati nell’ambito di un’indagine del governo sui semiconduttori, che potrebbe tradursi in nuove tariffe”, ha concluso.

Dazi impliciti  ed espliciti

Intanto nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto che alle industrie italiane fanno male non solo i dazi di Trump, ma anche quelli impliciti ed espliciti in giro per il mondo. Marcella Panucci, docente di politica industriale europa alla Luiss, spiega al Quotidiano Nazionale che il ministro “fa riferimento a pratiche e politiche che i Paesi mettono in campo per proteggere le proprie imprese o sostenerle nell’accesso ad altri mercati. Per esempio con il dumping le imprese cinesi, con costi di produzione più bassi o sussidi pubblici, riescono ad accedere ai mercati vendendo prodotti e servizi sottocosto, facendo così concorrenza sleale alle locali. Attraverso queste sovvenzioni le imprese di questi Paesi riescono a investire in Europa acquisendo imprese o partecipando a gare d’appalto, spiazzando i concorrenti europei. Al contrario, quando imprese europee aprono filiali in Cina, il governo chiede di entrare nella proprietà. L’Ue ha messo in campo alcuni strumenti per far fronte a tale competizione sleale.

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Gli effetti sui consumatori

Nel breve termine, spiega la professoressa, i consumatori pagano di meno, chi soffre sono le imprese europee, che non riescono a stare sul mercato: “Quando non reggono la competizione sleale le imprese europee rischiano di uscire dal mercato. E a quel punto l’unico rimasto a produrre può alzare i prezzi quanto vuole”. La professoressa Panucci però ritiene che il problema non sia “la globalizzazione in quanto tale, ma il modo in cui la Cina è entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio all’inizio del Duemila. Essendo considerato un Paese in via di sviluppo, nei suoi confronti non sono stati applicati regole e presidi. La Cina è entrata all’inizio con produzioni a basso valore aggiunto, poi con gli investimenti in ricerca e sviluppo e tecnologia può produrre prodotti competitivi sia per i costi che per la qualità”.

Ecobonus e incentivi

Secondo la docente di politica industriale europea, “quello che dice Giorgetti è corretto. Ma ricordiamoci che all’inizio c’è stata una gara da parte degli imprenditori italiani a produrre in Cina per beneficiare di condizioni di produzione sicuramente più vantaggiose”. Infine, conclude Panucci, anche la politica degli ecobonus e degli incentivi può essere vista come un modo per sussidiare le imprese: “Sono aiuti di stato secondo la disciplina europea. Qualsiasi incentivo al consumo è un incentivo alla domanda e aiuta l’impresa che vende quel prodotto. Normalmente si tratta di questioni soggette alla valutazione della Commissione Europea. Ci sono regole rigorose che disciplinano questo tipo di aiuti”.



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