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Gussalli Beretta: «Pnrr occasione persa, per Brescia e per il Paese»


Presidente Franco Gussalli Beretta, non possiamo non iniziare la nostra intervista dalla tempesta innescata da Donald Trump sul commercio internazionale.

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Quali potrebbero essere le conseguenze per il sistema Brescia?

«Non userei il condizionale. Le conseguenze si fanno già sentire. Perché gli industriali hanno bisogno di stabilità, di visione di lungo periodo, di chiarezza. Il continuo cambiamento di rotta dell’amministrazione Trump crea incertezze e per un sistema industriale come quello bresciano, fortemente orientato all’esportazione, il danno è doppio: non ci sono solo i prodotti che da Brescia varcano direttamente l’oceano; le filiere della componentistica automotive, della meccanica strumentale, della sidermetallurgia esportano in Europa, ma il destinatario finale è il mercato statunitense».

L’obiettivo di Trump è riportare la manifattura negli Usa, crede sia possibile?

«Credo sia molto difficile, se non impossibile nel breve e medio periodo. L’America ha grandi imprenditori, ma ha perso la sua cultura industriale manifatturiera che è cosa diversa dal know-how manifatturiero».

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«La cultura industriale preservata nei decenni è la forza di Brescia, ma direi dell’Italia e dell’Europa: in questi quarant’anni di globalizzazione gli imprenditori bresciani hanno dato il massimo per rendere competitive le aziende. Con ostinazione sono rimasti qui ed hanno fatto crescere la manifattura oggi punto di riferimento nel mondo».

Quindi non consiglierebbe a un imprenditore bresciano di andare a produrre negli Usa?

«Lo consiglio sempre invece, anche se tra il dire e il fare c’è di mezzo l’oceano. Gli Stati Uniti restano un grande Paese. Se si vuole penetrare il mercato statunitense bisogna esser là, indipendentemente dai dazi, che poi ci sono sempre stati».

La Germania ha deciso di investire 500 miliardi nella difesa. Questo darà una grande spinta alla crescita. Pensa potrà fare da traino anche alla nostra provincia?

«È un errore fare equazioni e semplificare: i processi produttivi sono complessi e molto articolati. Non possiamo affermare che i nostri torni, frese, presse e le nostre fonderie convertiranno le produzioni alla difesa. Sono processi che richiedono anche dieci anni. Bisogna vedere se la locomotiva tedesca riuscirà a ripartire, così come il resto l’Europa. D’altra parte penso che l’intenazionalizzazione delle nostre aziende non può fermarsi ad Europa e Stati Uniti. L’area del Sud del mondo è quella che oggi ha le maggiori potenzialità di sviluppo».

Il ciclone dazi apre un altro fronte: la Cina invaderà con i suoi prodotti l’Europa. Come scongiurare questa evenienza?

«Aiutando le imprese ad essere più competitive. In questo momento, l’Italia e l’Europa non stanno facendo nulla sulla competitività».

Quali priorità vede in questo senso?

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«Partiamo dall’energia, è fondamentale. E poi, alla pari, mettiamo il capitale umano. Sono le due spade di Damocle che pendono ogni giorno sulla testa degli imprenditori. L’energia è condizione di esistenza per qualunque processo industriale. La siderurgia e la metallurgia sono il punto di partenza per l’industria metalmeccanica e da essa discendono tutte le filiere a valle. Se non risolveremo il problema dell’energia non riusciremo ad essere competitivi con i cinesi, con gli indiani, con i turchi».

Quale è la soluzione?

«Lo dico da tempo: è il disaccoppiamento che, fra l’altro, va anche nella direzione del Green Deal. Il prezzo delle rinnovabili non può essere legato a quello del gas. E poi bisogna sburocratizzare e velocizzare le pratiche amministrative per nuovi impianti. Forse qualcuno fa resistenza. Diciamolo senza peli sulla lingua: il governo deve decidere se vuole avere le partecipazioni statali monopoliste gonfie di utili o rendere competitivo il sistema industriale».

Il capitale umano è da sempre uno dei suoi cavalli di battaglia.

«È la seconda condizione di esistenza per le imprese. Abbiamo competenze, che pochi altri Paesi possono vantare. Ora le dobbiamo trattenere. Come? Lasciando più soldi in tasca ai lavoratori, per farlo il Governo deve azzerare la pressione fiscale e contributiva almeno sugli incrementi retributivi ed i premi di risultato. Poi bisogna puntare sul rientro dei cervelli».

Nel corso della sua presidenza è stata avviata l’alleanza tra Brescia e Bergamo. Che ne sarà in futuro del progetto?

«Il potenziale è enorme: si tratta di due straordinari esempi di eccellenza manifatturiera. Con la collega Ricuperati abbiamo affidato ai nostri Centri Studi e al Prof. Mosconi l’analisi di dove siamo oggi: parliamo di un sistema che vale più di 90 miliardi di euro. Nella sola manifattura contiamo 281.000 addetti, dei quali 170.000 nella meccanica».

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Quale strada è meglio intraprendere?

«Quella dell’innovazione e della formazione. Fare sinergia su questi temi è fondamentale. Senza disfare ciò che già esiste, ma creando un sistema diffuso che metta in rete università e centri di ricerca già presenti sul territorio. Nell’alleanza tra Brescia e Bergamo intravedo qualcosa di molto buono: la storia ci insegna che fare sistema porta benefici per tutti».

La cosa di cui va maggiormente orgoglioso del suo mandato?

«Abbiamo fatto un grande lavoro all’interno della struttura di Confindustria, il ventaglio dei servizi da offrire agli associati. All’interno del sistema Confindustria Brescia ci sono grandi competenze in campo ambientale, energetico, digitale, nell’innovazione. Ma è necessario renderle visibili agli associati, in questo senso è stato importante il lavoro fatto con SetteOttavi. Abbiamo lavorato sul fronte del capitale umano: il progetto per la realizzazione di un nuovo centro Its in collaborazione con provincia, regione e Machina Lonati va in questa direzione.

Quale invece il più grande rammarico?

«Più che un rammarico, una forte delusione: quella dei fondi del Pnrr. La sfida che mi ero dato all’inizio del mandato era mettere insieme tutte le categorie economiche e le associazioni bresciane per progetti comuni legati a formazione ed innovazione. I fondi del Pnrr, lanciati dal Governo proprio al nostro insediamento, sarebbero stati decisivi. Abbiamo steso progetti importanti, li abbiamo presentati più volte a Roma e a Bruxelles. Tante promesse, tanti complimenti, ma non abbiamo visto un soldo, nonostante il Pnrr metta a disposizione miliardi per formazione e innovazione. Questi fondi temo siano una grande occasione persa non solo per Brescia, ma per il Paese intero».

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Cosa augura al futuro presidente Paolo Streparava?

«Di avere pazienza, perché per cambiare le cose bisogna averne davvero tanta, abbinata alla perseveranza».



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