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Congelati i finanziamenti al partito di Dodik in Bosnia


Colpire dove fa più male, ovvero nel portafoglio. È la strategia, inedita e controversa, adottata in Bosnia-Erzegovina, dove l’Alto rappresentante della comunità internazionale, il tedesco Christian Schmidt, ha deciso di “punire” con concretissime sanzioni economiche l’Snsd, il maggior partito a Banja Luka – di cui è leader il presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik – e Ujedinjena Srpska, partner di governo nella Rs e guidato da Nenad Stevandić, capo del parlamentino serbo-bosniaco. Movimenti politici che sono stati ritenuti da Schmidt complici dell’involuzione che sta vivendo il Paese balcanico, scosso dalla sempre più dura contrapposizione tra la leadership serbo-bosniaca e autorità centrali.

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Schmidt ricopre il difficile ruolo di vigile e “arbitro” del rispetto degli accordi di pace di Dayton. L’Alto rappresentante si è mosso con forza per cercare di frenare le spinte separatiste in Republika Srpska (Rs), entità serbo-bosniaca che, con la Federazione bosgnacco-croata, forma il Paese.

«Tutti i finanziamenti pubblici», provenienti dal bilancio statale destinati «a questi partiti in tutti i livelli di governo saranno congelati e reindirizzati su un conto speciale nella Banca centrale» di Sarajevo, ha annunciato l’Alto rappresentante. La ragione del prosciugamento di fondi vitali per il funzionamento di due partiti? L’Snsd di Dodik – leader sotto accusa e ricercato in Bosnia per attentato alla Costituzione – e Ujedinjena Srpska sono corresponsabili degli «attacchi» sempre più violenti «all’ordine costituzionale», ha spiegato Schmidt.

Parole che fanno riferimento alle imputazioni contro Dodik, Stevandić e il premier serbo-bosniaco, Radovan Višković, tutti nel mirino della magistratura di Sarajevo per non aver risposto agli ordini di comparizione emessi dalla Procura federale, che li ha accusati di azioni separatistiche, compiute come ritorsione alla condanna di Dodik a un anno di prigione e all’interdizione dai pubblici uffici.

Snsd e Ujedinjena Srpska sono «alla testa di queste azioni», ha rincarato Schmidt, spiegando che i due partiti sarebbero il mezzo attraverso cui Dodik e la leadership serbo-bosniaca «ostruiscono le istituzioni» bosniache, impediscono «l’esercizio effettivo» di istituzioni nazionali nella Rs e minano «l’integrità territoriale» del Paese.

La mossa dell’Alto rappresentante non ha fatto altro che inasprire la crisi già acuta in atto in Bosnia. Dietro Schmidt, non riconosciuto dai serbo-bosniaci e dai loro alleati russi, ci sarebbe una campagna orchestrata da Sarajevo per «smantellare» la Rs, ha replicato Dodik, che ha accusato l’Alto rappresentante di «metodi fascisti» e di essere «un impostore senza mandato, la cui presenza distrugge la Bosnia». Se oserà «presentarsi» nella Rs «sarà arrestato», minaccia Dodik. «Solo quando se ne andrà, potremo sederci a un tavolo e parlare» per risolvere la crisi, ha concluso il leader serbo-bosniaco.

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Nel frattempo, pure la questione tentato arresto di Dodik rimane caldissima, con accese discussioni, in Bosnia, sulla possibile presenza di agenti della Polizia serba a sua difesa, scenario seccamente negato da Belgrado. L’Ue, in questo quadro, ha ribadito essere assai «preoccupata» per la situazione nel Paese.



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