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L’intelligenza artificiale si fa largo anche nel reclutamento


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La selezione del personale usa sempre di più l’intelligenza artificiale – Archivio

Il panorama sociale e lavorativo attuale sta attraversando una fase di cambiamento, accelerato dalla rapida ascesa dell’Ia-Intelligenza artificiale. Sempre più spesso, infatti, un curriculum deve prima convincere sofisticati algoritmi e, solo in un secondo momento, chi si occupa di selezione del personale. Non solo: secondo i dati condivisi dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, il 26% di chi cerca lavoro utilizza l’Ia per candidarsi a una posizione aperta. In particolare sembra che siano le generazioni più giovani a servirsene, come evidenzia una ricerca di Randstad, citata dal Financial Times, secondo cui il 57% dei lavoratori della Generazione Z utilizza l’Ia per le proprie candidature, elaborando cv e lettere di presentazione ad hoc, seguiti a ruota dai Millennials (40%). Il trend è confermato anche da Clutch (www.clutch-hr.it/), start up Hr fondata nel 2024 da Lorenzo Cattelani, che riscontra ogni giorno questo fenomeno nei percorsi di selezione e riconosce i benefici che l’Ia porta al settore delle risorse umane in termini di riduzione dei tempi di assunzione, garantendo al tempo stesso un abbinamento quasi perfetto tra azienda e candidato. Clutch, grazie alla sua abilità nell’utilizzare strumenti di Ia che impiega per identificare i profili più adatti o affini alle richieste delle aziende clienti, riconosce che l’utilizzo dell’Ia consente di rendere i curricula più mirati e ben strutturati, mettendo in evidenza le esperienze lavorative reali in modo chiaro, facilitando la lettura da parte dei recruiter. Non si tratta di distorcere le proprie competenze, ma di adattare le esperienze personali per renderle il più possibile in linea con l’opportunità offerta. Tuttavia, c’è un rischio: se il candidato non personalizza il testo, i contenuti potrebbero risultare troppo promozionali o quasi asettici, aspetti che un recruiter potrebbe interpretare negativamente.

«Sebbene l’Ia rappresenti un nostro grande alleato, il contatto umano resta fondamentale durante i colloqui di lavoro – spiega Anna Valenti, Founding Partner di Clutch -. I recruiter svolgono attività che implicano tatto, empatia, sensibilità. Ci sono capacità che l’IA non è in grado di emulare (non così bene per lo meno), come creare legami solidi con i candidati, valutarne la motivazione, la capacità di integrarsi nella cultura aziendale e altre qualità relazionali: tutte caratteristiche che influenzano profondamente il successo di un inserimento professionale. Solo attraverso il contatto umano è possibile cogliere sfumature emotive e comportamentali che vanno oltre le competenze tecniche, determinando così un connubio duraturo e proficuo fra aziende e candidati».

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L’Ia a sostegno dei selezionatori

Anche un’indagine di Indeed conferma come gli addetti alla selezione del personale stiano facendo ricorso all’Ia per sopperire alla difficoltà di reclutamento. In un mercato del lavoro sempre più competitivo e in rapida trasformazione, le aziende si trovano di fronte a una sfida cruciale: trovare i talenti con le competenze giuste. Il 58% dei datori di lavoro partecipanti al sondaggio lamenta un aumento delle difficoltà di assunzione negli ultimi tre anni (63% in Italia). La mancanza di profili con requisiti in linea rispetto alle proprie esigenze è un problema per il 76%. In Italia, le percentuali sono ancora più significative (+10% rispetto alla media). Per colmare il divario tra profili ed esigenze, quasi un recruiter su due (44%) si appoggia a più strumenti rispetto al passato. In particolare, il 38% degli intervistati dichiara di aver già utilizzato strumenti di intelligenza artificiale per il recruitment. Con il 68% dei responsabili del recruitment ad avere usato l’Ia, l’India è in assoluto il Paese che registra la percentuale maggiore. Seguono Australia (52%) e Stati Uniti (45%). In Italia, hanno fatto ricorso all’Ia un recruiter su tre (29%). Tra i settori che fanno più ampiamente ricorso a strumenti di recruitment che sfruttano l’intelligenza artificiale spiccano, come prevedibile, i settori dell’It e telecomunicazioni (58%), dei servizi finanziari (49%) e della contabilità (48%). Si distinguono, tuttavia, con percentuali superiori al 40% anche il settore delle costruzioni (46%) e quello del marketing e delle Pr (42%). L’utilizzo dell’Ia nel recruitment può richiedere tempo per “addestrare” gli strumenti. Il 98% dei recruiter si dichiara disposto a investire questo tempo per ottenere risultati migliori nei propri processi di selezione, con un 51% disponibile a dedicare un considerevole ammontare di tempo. L’Ia viene indicata come un valido supporto per identificare i candidati (50%), per compiere una valutazione degli stessi (49%) e personalizzare il processo di recruitment. I recruiter, inoltre, ritengono che sia un valido aiuto per la scrittura delle job description (45%), oltre che per individuare e mitigare i pregiudizi.

Per esempio, tra un candidato laureato nel settore, ma privo di esperienza specifica nel proprio campo di studi, e uno senza laurea, ma con esperienza pratica sul campo, il 64% dei recruiter in Italia assumerebbe il secondo. In un contesto in cui il 63% dei datori di lavoro lamenta un aumento delle difficoltà di assunzione, si assiste anche in Italia a una progressiva affermazione dell’approccio alle assunzioni basato sulle competenze, con cui dichiara di avere familiarità più di un’azienda italiana su due. Per anni i titoli di studio sono stati considerati come indicatori della capacità di svolgere il lavoro richiesto. Oggi, le aziende stanno sempre più privilegiando una valutazione dei candidati in base alle loro esperienze, abilità e capacità specifiche per il ruolo ricercato. Non stupisce che nella stesura delle descrizioni per le posizioni aperte, il 65% degli interpellati elabori descrizioni focalizzate sulle competenze specifiche necessarie per ricoprire il ruolo. O ancora, che, per capire se si trovano davanti a un candidato idoneo, sempre più recruiter considerino centrale poter contare su portfolio o esempi del lavoro svolto a conferma delle abilità (49%); che il candidato abbia le competenze tecniche adeguate a svolgere la mansione (38%) o che abbia esperienza sul campo (38%).

La mancanza di profili di “qualità” oggi rappresenta un problema per l’86% delle aziende italiane partecipanti all’indagine. Nel 24% dei casi, si tratta di difficoltà significative, perché la maggioranza dei candidati non è in linea con i requisiti previsti dalle posizioni. In un caso su dieci, addirittura, la carenza è una criticità maggiore per l’azienda che non riesce a trovare un numero sufficiente di professionisti adatti alle proprie esigenze. Per le aziende, le maggiori difficoltà nel recruitment riguardano la mancanza di profili con le competenze richieste (43%), una disconnessione tra i requisiti del ruolo e il background degli aspiranti candidati (28%), oltre alle alte aspettative di questi ultimi, soprattutto rispetto ai compensi (27%). Per riuscire a colmare il gap, le aziende si stanno impegnando a rivedere le job description (26%), stanno investendo in nuovi tool da cui attingere i potenziali candidati (26%) e stanno rivedendo benefit e salari (24%). Anche la formazione gioca un ruolo chiave. Con l’obiettivo di formare le risorse necessarie all’azienda (41%) e di essere più attraenti per i talenti (45%), il 77% dei datori di lavoro partecipanti al sondaggio, ha già modificato o pianifica di modificare i propri training interni per formare alle competenze richieste i nuovi assunti.

Un futuro promettente, se resta “umano”

In un mondo nel quale la tecnologia corre molto veloce, l’intelligenza artificiale sta rappresentando un alleato prezioso per chi si occupa di risorse umane. Gli Hr manager, infatti, si sono resi conto che l’Ia non solo semplifica il processo di reclutamento, ma può addirittura migliorare la qualità delle assunzioni. «Dobbiamo – precisa Emanuele Franza, Branches Development Director di Hunters Group – per prima cosa fare una precisazione importantissima: l’Ia non sostituirà i consulenti Hr, i direttori delle risorse umane e chi si occupa di ricerca selezione, ma potrà (e in realtà lo sta già facendo) dare un grande supporto grazie a strumenti in grado di analizzare i cv, identificare i candidati più adatti e, in alcuni casi, condurre interviste preliminari. Tutte operazioni routinarie che possono essere affidate ai robot per permettere ai recruiter di concentrarsi su aspetti più strategici del processo di assunzione, come ad esempio l’indagine motivazionale o il processo di onboarding delle risorse». Tuttavia, tutte le persone hanno dei pregiudizi inconsci (per esempio siamo portati a “preferire” una persona che ha frequentato la nostra stessa Università o che ha un percorso di carriera più in linea con le nostre) che possono rendere meno obiettiva la valutazione di un cv o di un colloquio di lavoro. Grazie alla tecnologia, però, è possibile ridurre questi bias inconsci, garantendo che le decisioni di assunzione siano basate su dati oggettivi piuttosto che su impressioni soggettive, favorendo in questo modo una maggiore diversità e una maggiore inclusione all’interno delle organizzazioni e promuovendo ambienti di lavoro più equi.

«La tecnologia – aggiunge Franza – aiuta a ridurre al minimo gli errori in fase di selezione. Assumere la risorsa sbagliata, infatti, può essere molto costoso, in termini economici, di tempo e di energie. Secondo alcune analisi elaborate da Hunters Group, commettere un errore di questo genere potrebbe addirittura costare parecchio, fino alla metà della retribuzione annua lorda. Ma il problema, purtroppo, non è solo economico perché una risorsa non adeguata ha impatti anche sul clima aziendale. Anche in Hunters Group stiamo implementando una soluzione software che abbatterà i tempi di selezione e ricerca di personale, ma maggiori informazioni le potremo fornire a processo completato».

I software specializzati permettono certamente di velocizzare e digitalizzare un numero sempre maggiore di attività, ma la tecnologia da sola non può bastare. La ricerca e selezione del personale, infatti, è un processo estremamente articolato e complesso nel quale entrano in gioco una moltitudine di variabili diverse che una macchina non può certo gestire in modo autonomo. Non dimentichiamo, infine, che, per quanto intelligenti, le macchine non possono “pensare” se una persona non inserisce il relativo input.

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Attrarre e trattenere talenti è la vera sfida di tutte le aziende, soprattutto in un momento complicato e ricco di incertezze come quello attuale, segnato dalle guerre, la crisi economica e l’annuncio dei dazi americani. All’Innovation Training Summit è stata presentata Intelligenza artificiale: cosa dopo il clamore? Una ricerca di Ipsos che indaga il rapporto delle persone e delle aziende con l’Ia. Una relazione decisamente buona all’estero, un po’ meno in Italia: il 67% del campione intervistato, infatti, ha dichiarato una buona comprensione dell’Ia a livello internazionale, ma solo il 51% in Italia. Non solo: il 40% dei rispondenti ha dichiarato che l’Ia ha cambiato la vita, mentre il 60% è convinto che la cambierà nei prossimi anni e, addirittura il 66%, crede che questa tecnologia cambierà la vita professionale. Sei persone su dieci, inoltre, hanno usato in qualche occasione una chat generativa (73% ChatGpt; 38% Gemini). Una rivoluzione, dunque, che necessità però di nuove competenze: quasi la metà del campione (48%), conferma di voler intraprendere un percorso di formazione per imparare a governare queste innovazioni.

Sono convinte dell’importanza dell’Ia anche le aziende: il 51% crede che sarà uno strumento utile a migliorare l’efficienza operativa, il 49% ad analizzare i dati, il 47% ad automatizzare i processi di routine.

I rischi dell’Ia: controllo dei lavoratori e decisioni automatizzate

L’Ia sta trasformando profondamente il mondo del lavoro, non solo nei processi produttivi, ma anche nei rapporti tra azienda e lavoratore. Due sono oggi i principali spunti di riflessione: il rischio che un uso, pur legittimo, dell’Ia in azienda venga qualificato come un indebito “controllo a distanza” dei dipendenti e, in prospettiva, la possibile mancanza di trasparenza dell’Ia a cui vengano delegate decisioni tipicamente umane, come ad esempio assunzioni, promozioni, trasferimenti o licenziamenti. «L’uso sempre più pervasivo di strumenti di Ia a supporto dell’attività lavorativa, soprattutto nel lavoro d’ufficio in cui è imprescindibile l’uso quotidiano di personal computer – dichiara Attilio Pavone, partner e Head of Italy di Norton Rose Fulbright Studio Legale – è sicuramente un utile supporto alla produttività. Tuttavia l’Ia è in grado di analizzare grandi quantità di dati (e-mail, cronologia dei documenti, accessi ai sistemi) per rilevare anomalie, valutare performance o prevenire rischi.​ Questi dati sono potenzialmente idonei anche a “profilare” i dipendenti, e quindi in definitiva a controllarne la prestazione. L’utilizzo di sistemi di Ia pone quindi le aziende di fronte a una scelta: anonimizzare i dati in modo tale da renderli inservibili (ma questo potrebbe impedire una legittima investigazione in caso di gravi inadempimenti o veri e propri illeciti) oppure rispettare le procedure di autorizzazione da parte del sindacato o dell’Ispettorato del Lavoro previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Va ricordato che ovviamente stiamo parlando di controlli “accidentali”, e cioè per così dire di effetti collaterali di utilizzo lecito della tecnologia. Un sistema di IA progettato espressamente per controllare la performance dei dipendenti sarebbe illegale».

Guardando al futuro, si moltiplicano gli scenari in cui l’intelligenza artificiale potrebbe influenzare decisioni tradizionalmente affidate all’intuito umano: chi promuovere, chi trasferire, chi licenziare. In teoria, il vantaggio dell’Ia dovrebbe essere proprio quello dell’imparzialità, basandosi su criteri oggettivi. «In pratica, però, esiste il rischio che essa “erediti” i bias presenti nei dati storici su cui è stata addestrata: se, per esempio, in passato un’azienda ha promosso prevalentemente uomini, l’IA potrebbe finire col replicare quella discriminazione. Inoltre, affidarsi ciecamente a decisioni automatizzate riduce la possibilità di valutare il contesto umano e relazionale, che è spesso decisivo nei rapporti di lavoro. In conclusione, per affrontare queste sfide è fondamentale che le imprese si dotino di strumenti adeguati: policy chiare, regolamenti interni condivisi con le rappresentanze sindacali, codici etici per l’uso dell’Ia. Serve una “intelligenza artificiale trasparente”, che consenta la comprensione dei criteri decisionali e garantisca il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori. La tecnologia non può sostituire la responsabilità umana, ma deve esserne strumento consapevole», afferma Pavone.

Le dieci tendenze secondo Randstad

L’Ia è entrata a pieno titolo anche nelle risorse umane e sta già cambiando la cultura del lavoro nelle aziende. Le mansioni tradizionali si stanno suddividendo in attività più piccole e specializzate, in alcuni casi automatizzabili o esternalizzabili per migliorare efficienza e soddisfazione delle persone. E le competenze si affermano ogni giorno di più come la vera “valuta” di scambio sul mercato del lavoro. In questo contesto, si aggrava la talent scarcity e il 93% dei direttori del personale a livello globale (il 92% in Italia) ha come priorità trattenere i talenti e fidelizzarli nella propria organizzazione. L’87% focalizza le proprie strategie sull’agilità della forza lavoro (l’84% in Italia). E l’80% oggi predilige la mobilità interna al recruitment esterno (il 69% a livello italiano). La grande maggioranza delle aziende (l’83% a livello globale, l’88% in Italia) sta adottando un approccio “skill first”, basato sullo sviluppo delle competenze, e il 70% ha incrementato il budget per l’apprendimento. Sono alcuni fenomeni che emergono dal Talent Trends Report, l’indagine di Randstad Enterprise che ha individuato i dieci principali trend nella gestione delle risorse umane del 2025. Una ricerca realizzata attraverso un sondaggio a oltre 1.000 human capital leader di grandi organizzazioni in 21 Paesi del mondo, tra cui l’Italia (circa 50 intervistati per ogni Paese) in diversi settori.

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1. L’Ia cambia la cultura dell’ambiente di lavoro. L’Ia generativa sta migliorando la collaborazione, la comunicazione e la produttività sintetizzando riunioni, suggerendo miglioramenti e favorendo processi creativi mirati. Gli Hr stanno iniziando a creare talent experience personalizzate e coinvolgenti, dall’analisi dei feedback della forza lavoro ai programmi di sviluppo e riconoscimento professionale.

2. L’Ia stimola la soddisfazione dei dipendenti. L’Ia generativa è percepita dagli Hr come una forza trasformativa per migliorare la creatività, alleviare il carico delle attività ordinarie e rendere il lavoro più mirato e soddisfacente. Le aziende la sfruttano per prendere appunti, redigere e-mail personalizzate e promemoria per i traguardi dei dipendenti, stimolando la creatività e aiutando a concentrarsi su attività avanzate. In fase di sviluppo anche nuove piattaforme che automatizzano riconoscimenti e ricompense, rafforzando coinvolgimento e prestazioni.

3. L’Ia accelera la crescita professionale. L’Ia generativa può creare contenuti e programmi di formazione personalizzati, tra cui formati interattivi come realtà virtuale e aumentata e gamification, offrendo un’esperienza di apprendimento dinamica e su misura. Può creare percorsi di apprendimento e sviluppo, programmi di coaching e mappatura delle competenze personalizzati, migliorando le opportunità di mobilità interna.

4. Maggiore spazio ai talenti neurodivergenti. Le risorse “neurodivergenti” sono talenti ancora sottoutilizzati con competenze uniche, come il riconoscimento di schemi, la creatività, il problem solving e la comunicazione. Grazie a Ia e tecnologie assistive si sta dando maggiore spazio a queste risorse, avviando programmi per l’apprendimento, la gestione delle attività e la comunicazione, riducendo al contempo i bias inconsci nei processi di recruitment e di sviluppo di questi profili.

5. Gli Hr ragionano più per attività e competenze che per mansioni. Gli Hr puntano a una forza lavoro sempre più agile: la destrutturazione delle mansioni in attività specializzate consente di distribuire in modo più efficiente le risorse e ampliare il pool di talenti, adottando accordi professionali flessibili e abbinando le attività alle modalità di lavoro più adatte, permanenti, temporanee, indipendenti o automatizzate. L’obiettivo è aumentare la soddisfazione e la crescita professionale dei dipendenti, adattandosi alle esigenze del personale e migliorando le prestazioni complessive.

6. Si creano nuovi accordi professionali in un mercato del lavoro in crisi. Le complessità legate alla scarsità e alla fidelizzazione del personale continuano ad aumentare; il turnover e i pensionamenti hanno effetti negativi sulle operazioni e le aziende sono più orientate alla fidelizzazione del personale. Offrire modelli di lavoro flessibili sta diventando essenziale per attrarre e fidelizzare risorse diversificate.

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7. Si punta al reskilling per creare nuovo valore. Per rimanere competitive le aziende danno priorità al reskilling della forza lavoro, soprattutto in materia di Ia, e si focalizzano sulle competenze necessarie piuttosto che sui ruoli professionali, fornendo ai lavoratori gli strumenti per adattarsi e dare il meglio. Il potenziale di apprendimento è uno dei fattori più importanti nelle assunzioni di qualsiasi ruolo, mentre i tratti intrinseci della personalità, come il pensiero critico e l’intelligenza emotiva, sono estremamente importanti nella selezione dei talenti senior.

8. Si colma il divario di competenze dei leader. Solo il 23% dei dirigenti ritiene che i propri leader abbiano le capacità necessarie ad affrontare il dinamismo attuale. Offrire programmi di coaching, mentoring e competenze dirigenziali è essenziale per sviluppare una leadership solida e supportare l’avanzamento di risorse eterogenee in posizioni dirigenziali per far fronte alle esigenze future.

9. Si affermano nuovi modelli basati sulle competenze. I datori di lavoro si stanno rendendo conto che per l’assunzione e poi lo sviluppo delle risorse umane non sono più sufficienti solo le vecchie misure di valutazione delle performance, ma contano anche il potenziale, l’ambizione e le motivazioni. Si sta potenziando la formazione sulle competenze trasversali. E si affermano nuovi modelli organizzativi skill-first che migliorano la visibilità delle competenze in tutta la forza lavoro, aiutando a identificare le carenze attuali e future.

10. Si potenzia il mercato interno dei talenti. La maggior parte dei datori di lavoro ora predilige la mobilità interna al recruitment esterno, con mercati interni del lavoro che forniscono un modo scalabile e trasparente per allineare le competenze alle esigenze organizzative, prevenendo i licenziamenti. Il 59% degli Hr prevede di aumentare i propri investimenti nella mobilità interna quest’anno, un aumento del 20% rispetto al 2016.





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