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meno fondi ai poveri come la Calabria, più soldi alle lobby delle armi


Hanno chiamato “coesione” ciò che oggi serve a finanziare la guerra. Hanno sbandierato per anni la retorica della solidarietà europea, della riduzione dei divari territoriali, del sostegno alle regioni povere. Poi, con un colpo di mano ben confezionato tra Bruxelles e Strasburgo, stanno trasformando i Fondi di Coesione in una cassaforte per l’industria bellica europea.

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È tutto nero su bianco, e lo sarà ancor di più la prossima settimana, quando il Parlamento Europeo voterà la Risoluzione sul rapporto sulla coesione economica e sociale, già approvato dalla Commissione Regi (quella sullo Sviluppo Regionale, per capirci).
Un rapporto che apre esplicitamente all’uso dei fondi per lo sviluppo di tecnologie a “duplice uso”: ovvero droni, software, sistemi e strumenti utilizzabili sia in ambito civile che militare. Insomma, un bel pacchetto di innovazione ibrida, che parte dall’agricoltura di precisione e finisce sulle piste della NATO.

Come funziona lo scippo

Il meccanismo è semplice, e per questo efficace. I fondi di coesione – cioè i miliardi europei destinati a ridurre le disuguaglianze tra le aree ricche e quelle depresse – verranno “flessibilizzati”. In nome delle nuove sfide globali (leggi: difesa comune europea), potranno essere usati dagli Stati membri per sostenere lo sviluppo di tecnologie militari.

Tutto “su base volontaria”, ovviamente. Ma sappiamo bene come funziona l’Europa: prima si concede una “possibilità”, poi la si premia con incentivi, poi si impone come nuova priorità strategica. E chi non si adegua? Resti pure con le buche sulle strade e gli ospedali senza personale.

Fitto e l’urgenza dell’urgenza

Lunedì sera si voterà anche sulla procedura d’urgenza del Piano Fitto, cioè la proposta italiana di rivedere la politica di coesione inserendo ufficialmente anche la Difesa tra le finalità dei fondi. Il governo Meloni – che a parole diceva di no – nel concreto accelera, anche a costo di dividere la maggioranza Ursula in Europa.
Il voto per l’urgenza è già passato in Commissione per un solo voto, e il dissenso dei socialisti non ha fermato la macchina.

La Calabria e il futuro a perdere

E ora veniamo alla Calabria. Cosa significa tutto questo per una regione come la nostra, da sempre tra le principali beneficiarie dei fondi di coesione? Significa: meno fondi saranno destinati alle vere priorità locali, come la sanità, le infrastrutture, il lavoro per i giovani, il contrasto allo spopolamento; rischio concreto è che le risorse si concentrino dove c’è un tessuto industriale già pronto a riconvertirsi al militare, ovvero nei grandi poli del Nord o in altri Paesi Ue. La Calabria, che fatica ancora a spendere i fondi per rigenerare i centri storici, digitalizzare le scuole o rendere sicure le strade provinciali, resterà al margine, mentre l’Europa si riposiziona su logiche da Guerra Fredda.

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L’ipocrisia bipartisan

A rendere il quadro grottesco, c’è il silenzio – o peggio, il doppio gioco – di molti partiti italiani. La premier Meloni si era detta contraria, ma il suo governo spinge per il Piano Fitto.
La segretaria Pd Elly Schlein aveva alzato le sopracciglia, ma in Commissione Regi i socialisti hanno votato a favore del rapporto.
L’unica voce fuori dal coro? Qualche eurodeputato dei 5 Stelle e di The Left, ormai confinati alla testimonianza. E il Pd? Al momento del voto, nessuno presente, dicono per “impegni sovrapposti”. Una scusa perfetta per non disturbare il manovratore.

Dal welfare con warfare

La verità è brutale: l’Europa ha cambiato pelle, e la Calabria rischia di pagarne il prezzo.
Non più una politica di riequilibrio, ma una politica di proiezione militare. Non più una coesione tra territori, ma una convergenza verso la guerra. E chi sperava che l’Europa potesse risollevare le nostre periferie, si ritroverà con un pugno di slide, zero investimenti e qualche drone in vetrina.



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