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Confindustria: assemblea a Bologna con la premier Meloni. Le scelte di Orsini tra la Via Emilia e il West


di
Dario Di Vico

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L’assemblea sui territori che hanno espresso il presidente. Lontano da Roma. Le nuove vie del lobbismo istituzionale e della «concertazione a due». L’incidente del decreto bollette

La Confindustria terrà l’assemblea nazionale del 2025 — la scadenza associativa più importante dell’anno — a Bologna. E non a Roma, come da tradizione. La decisione è arrivata a sorpresa con uno scarno comunicato e segna discontinuità con il passato. Racconta Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria e bolognese: «Mi chiede se c’è il mio zampino nella scelta di Bologna? No, è stata un’idea di Emanuele (Orsini, ndr). Vuole un’associazione più vicina ai territori e meno romano-centrica». Sicuramente è andata così e Orsini scegliendo le Due Torri ha anche voluto giocare in casa, nella territoriale di appartenenza. E, visto che l’assemblea di quest’anno per il combinato disposto tra crisi industriale, caos sui dazi e divergenze sul decreto bollette si presenta particolarmente “calda”, tenerla in campo amico male non fa. L’idea di fondo però non è meramente difensiva, separarsi da Roma equivale a mandare un messaggio di vicinanza alle strutture periferiche e alle imprese, tentare di rimotivare Confindustria nei territori e dare a questi ultimi la giusta visibilità. 

Territorio e lobby

Nella scelta dell’Emilia c’è persino un riconoscimento al dinamismo della Regione che ha innovato geograficamente il vecchio Triangolo industriale che prima gravitava sul Nord Ovest. Spiega Vincenzo Colla, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna: «Sono certamente contento che la Confindustria venga a Bologna per la sua assemblea. Anche perché vuol dire valorizzare i legami internazionali, a partire dalla presenza di imprese di grande qualità per finire al Tecnopolo e ai sistemi di ricerca. Le politiche industriali di questo Paese hanno bisogno di una visione europea e sicuramente questo territorio è in linea con quest’esigenza». Aggiunge Franco Mosconi, autori di saggi sull’economia di territorio: «La via Emilia è uno dei crocevia strategici della manifattura italiana e da molti anni è in atto una trasformazione all’insegna degli investimenti in conoscenza, ricerca e innovazione, capitale umano. Illuminare questa scena portando tutta la Confidustria a Bologna non può che far bene all’industria italiana».
Orsini, dunque, il 27 batterà un colpo per comunicare qual è la sua idea di Confindustria, ma siccome è tutt’altro che ingenuo non si limiterà a una scelta per così dire romantica. Ha deciso infatti di accompagnare la trasferta bolognese con la preventiva individuazione della guest star: Giorgia Meloni. Il territorialismo di Orsini, quindi, è fortemente mediato con il più rigoroso lobbismo. Tenere d’occhio prima di tutto il governo e rapportare le scelte ai movimenti della maggioranza. Il presidente ha investito molto nel rapporto con Meloni e tutti ricordano come all’assemblea dello scorso anno la premier potè parlare per ben 48 minuti e giovarsi così di un applauso pressochè incondizionato. La de-romanizzazione della Confindustria non è dunque una de-politicizzazione, ma tutt’altro. 




















































Risultati

Finora però quest’abbinata non ha dato grandissimi risultati. La scorsa Finanziaria alla fine ha partorito per le imprese il topolino dell’Ires premiale, un provvedimento che ha lasciato l’amaro in bocca agli imprenditori che avrebbero preferito che il governo non togliesse la vecchia Ace. E la querelle scoppiata negli ultimi giorni sul decreto bollette definito da Viale dell’Astronomia addirittura come «una follia» è un episodio tutt’altro che marginale. Ma nonostante tutto Orsini non sembra demordere. Considera il rapporto con il governo una leva necessaria per operare uno scambio con la politica, per portare a casa risultati concreti e per questa via rafforzare anche il consenso della base. È una sorta di concertazione a due quella che Confindustria e governo hanno inaugurato, non perché da buon emiliano Orsini disprezzi il sindacato, ma in questa fase non lo reputa maturo per sedersi allo stesso tavolo. E non a caso la Confindustria è intervenuta in sede parlamentare per depotenziare il disegno di legge sulla partecipazione nato da un’iniziativa della Cisl.

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Obiettivi

L’operazione Bologna in definitiva potrebbe essere sintetizzata con lo schema di un colpo al cerchio (i territori) e una alla botte (il rapporto con il governo) anche perché Orsini chiamando Meloni le assicura una piazza, quella bolognese, che la premier ha sempre calcato con una certa cautela (alle ultime regionali è stata presente solo con un video-messaggio). In città tutti sanno che lei non manca mai al Cosmoprof dove visita, a favore di telecamere, lo stand del suo amico Renato Ancorotti, ma una cosa è un veloce passaggio fieristico altra cosa poter essere la guest star del maggior evento confindustriale dell’anno, per di più in partibus infidelium. Non è certo un mistero che Meloni punti in questa fase a rafforzarsi dentro le casematte del potere economico e quindi appoggiare l’operazione Mps-Mediobanca-Generali è sicuramente sinergico a un bagno di folla confindustriale. Entrambi servono a dare un robusto retroterra di interessi a un governo forte nei numeri elettorali più che nella considerazione delle élite.

Politica dei bonus

Tutto in discesa dunque per l’operazione Orsini-Meloni? La tela è sicuramente ben tessuta ma, come detto, restano ancora per aria i contenuti dello scambio. Meloni a sorpresa ha parlato di 25 miliardi da mettere a disposizione delle imprese per affrontare crisi industriale e bufera dei dazi, li ha annunciati in una sede ufficiale (l’incontro con le parti sociali nella Sala Verde di Palazzo Chigi), li ha giustificati con la possibilità di rimodulare fondi provenienti da Transizione 5.0, Pnrr, coesione e clima. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il famoso mare. È vero che l’annuncio non ha destato particolari contestazioni e l’opposizione politica di fatto lo condivide, ma tutto si presenta come un prolungamento della politica dei bonus piuttosto che l’adozione di una coerente linea di politica industriale. In più, ed è l’elemento-chiave, pescare risorse dal Pnrr presuppone un via libera dai funzionari di Bruxelles che indicheranno anche le modalità della cosiddetta rimodulazione, a partire da come concretamente le aziende potranno usufruire di questi fondi finora non spesi.
È chiaro che da qui al 27 maggio, data dell’assemblea, ci sono quattro settimane e la possibilità di lavorare ai provvedimenti con un timing favorevole. Ma questi sono i tempi dell’incertezza e vale la pena tenerne conto. E l’ultima vicenda delle bollette energia con il decreto-legge contestato da Confindustria e la successiva «irritazione» di Palazzo Chigi non depone a favore. La concertazione a due ha anch’essa le sue spine. Colpa di Meloni in questo caso? No, assicura Il Sole 24 Ore: «La premier era partita con le migliori intenzioni, poi il decreto è stato scritto diversamente e il Parlamento che avrebbe potuto correggerlo non l’ha fatto». 


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