Cosa serve per far crescere l’Italia
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 aprile 2025
Pur vivendo nell’incertezza non siamo esentati dall’obbligo di riflettere sulle conseguenze che quest’incertezza avrà sul nostro paese e sulle misure opportune che dovremo prendere.
Partiamo dal fatto che, in Italia, abbiamo alle spalle un periodo di crescita assai pigra, sempre sostanzialmente al di sotto dell’1%. In particolare lo scorso anno ci siamo collocati attorno allo 0,5% e, nonostante le tempeste commerciali, finiremo attorno alla stessa cifra nell’anno in corso. Questo risultato si pone tuttavia non solo a un livello inferiore alla media dell’economia mondiale e di quella americana, ma anche al di sotto della media delle economie europee
La tempesta di Trump, almeno come si presenta oggi, rende impossibile la ripresa generale che poteva essere generata dal calo dell’inflazione e dal maggiore sostegno allo sviluppo in conseguenza dell’abbassamento dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea, a cui seguiranno altre probabili diminuzioni nei prossimi mesi.
Penso che più di tutti saranno gli Stati Uniti a subire una forte diminuzione delle prospettive di crescita, con un calo superiore all’1%.
Tuttavia tutti ne soffriranno e l’Italia ne sta già pagando il prezzo con l’indebolimento in corso delle nostre esportazioni.
Come e quanto si evolva questo indebolimento dipende dalle settimane di trattative in corso fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti anche se, in ogni caso, la ormai definitiva rottura con la Cina renderà anche a noi più difficile avere rapporti non solo con il Celeste Impero, ma anche con il grandissimo numero di paesi che sono entrati nella sua orbita economica.
Tra i fattori che invece contrasteranno l’ulteriore peggioramento dell’economia italiana possiamo soprattutto contare sugli interventi finanziari del PNRR, che dovrebbero finalmente materializzarsi nell’anno in corso e nel 2026.
L’altra spinta positiva deriverà dalla politica tedesca. Il nuovo governo, che si insedierà nei prossimi giorni, ha infatti programmato di mettere in atto un grande piano di investimenti in infrastrutture e un aumento, che tuttavia non sarà immediato, delle spese militari.
Questi impulsi potrebbero essere certamente più efficaci nei confronti del nostro paese se, in Italia, non avessimo una bassa propensione al consumo che, ancora, non ha raggiunto il livelli precedenti al Covid. Questo perché l’aumento della disuguaglianza dei redditi fra gli italiani ha portato il maggiore potere d’acquisto verso le classi più agiate che hanno, evidentemente, una minore propensione al consumo. Allo stesso modo i consumi soffrono per l’incertezza sul futuro provocata dall’indebolimento del sistema pensionistico e, soprattutto, del sistema sanitario. In questa situazione, le persone, ed in particolare gli anziani, vengono infatti incoraggiati a risparmiare e non a consumare.
Vi sono quindi tutti gli elementi perché l’economia italiana prosegua, anche nel prevedibile futuro, con la lentezza degli ultimi anni, lentezza dovuta non a elementi esterni, ma al suo sostanziale immobilismo. Quando infatti, come avviene oggi in Italia, cresce l’occupazione, ma non il reddito prodotto e, nello stesso tempo, cala fortemente la produzione industriale, l’unica conseguenza che si può trarre è che diminuisce la produttività e l’efficienza dell’intera economia. Il sostegno alla nostra economia viene soprattutto da un terziario caratterizzato da bassi investimenti, bassi salari e basso valore aggiunto.
Sta quindi a noi cambiare rotta e cambiare velocità.
In primo luogo se le nostre piccole e piccolissime imprese sono in numero esorbitante (più di Germania e Spagna messe assieme) e hanno una produttività infinitamente inferiore alle nostre efficienti imprese medie. Dobbiamo quindi urgentemente favorirne l’aumento stimolando la loro crescita, le fusioni e l’iniezione di nuove tecnologie, a partire dall’Intelligenza artificiale. Il nostro sistema produttivo, agricolo, industriale o terziario, non ha bisogno di sussidi, ma di nuovi investimenti mentre, anche in questi giorni, si pensa che possano essere proprio i sussidi ad aiutare le imprese danneggiate dalla nuova politica commerciale. I sussidi non possono mai sostituire la politica industriale.
Bisogna poi obbligare ad una maggiore concorrenza che non può essere esercitata solo quando si hanno di fronte competitori esteri, ma anche quando la gara è unicamente fra italiani, come è il caso dei tassisti, degli stabilimenti balneari o di mille altre componenti del settore terziario a partire dalle professioni.
Ancora più necessario è alleggerire il peso burocratico che, invece di ridursi, si sta estendendo a macchia d’olio, invadendo tutti gli aspetti della nostra vita e di tutte le nostre attività. Una serie di adempimenti burocratici senza fine e senza senso sta rimandando alle calende greche qualsiasi investimento pubblico, ritarda all’infinito gli investimenti privati, impedisce la nascita di nuove imprese, ostacola la partecipazione delle nostre Università ai progetti di ricerca europei e allontana ogni investimento internazionale.
Non è che su questi temi stiamo ricevendo esempi incoraggianti da Bruxelles dove la domanda di semplificazione contenuta nel rapporto Draghi non ha ancora ricevuto risposte, ma il lavoro che dobbiamo fare in Italia è ancora più ampio e gravoso. E di novità non se ne vedono proprio.
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Scarica qui il Rapporto Draghi: The future of European competitiveness
A competitiveness strategy for Europe (Part A)
In-depth analysis and recommendations (Part B)
Sintesi in italiano a cura dell’ufficio rapporti con la UE della Camera dei Deputati
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