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«MAGGIORE ATTENZIONE DALLE ISTITUZIONI»


Le famiglie lucane, anche durante le recenti festività pasquali, hanno scelto di portare in tavola carni provenienti da allevamenti del territorio, privilegiando in particolare agnello e capretto. Ma dietro questa tradizione si cela una realtà economica difficile: «i consumatori devono sapere – sottolinea la Cia-Agricoltori Potenza-Matera – che l’agnello e il capretto mangiati a Pasqua-Pasquetta e comprati in macelleria in media a 22-25 euro al kg sono stati pagati all’allevatore tra 7-8 euro al kg (peso morto). È una situazione insostenibile». Secondo i dati più recenti, il patrimonio ovi-caprino in Basilicata ammonta a 220mila capi, con una perdita di 60mila unità nell’ultimo quinquennio. Di questi, circa 180mila sono ovini e poco più di 41mila caprini. Le aziende zootecniche lucane con allevamenti ovi-caprini sono 2.475: tra queste, 1.175 hanno più di 50 capi, 500 superano i 100 capi e 800 ne contano più di 70. La Basilicata si distingue anche per l’alto tasso di agricoltura e zootecnia biologica, con 139mila ettari coltivati in biologico (il 27,6% del totale regionale) e 3280 operatori certificati, confermandosi quarta regione in Italia per incidenza delle superfici bio. Nel Materano, i comuni di Matera, Tricarico e Ferrandina concentrano la maggior parte degli allevamenti ovini; in provincia di Potenza, la diffusione è più capillare e varia a seconda dell’altimetria. L’area nord, in particolare il Vulture-Melfese, ospita le maggiori concentrazioni in zone montane e collinari come Filiano, Forenza e San Fele, oltre alla Valle di Vitalba (Atella). Nei comuni del Parco Gallipoli Cognato si alleva l’agnello delle Dolomiti. Per la Cia-Agricoltori, è il momento di rilanciare con forza la richiesta di maggiore attenzione e risorse per il comparto zootecnico, fondamentale per le aree interne e montane. Nel contesto delle nuove politiche europee legate alla Pac 2023-2027, le strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità per il 2030” mirano a rendere sostenibili i sistemi alimentari, promuovere la conservazione delle risorse naturali e sostenere l’agricoltura. «Diventa fondamentale costruire e realizzare interventi di sistema – spiega la Cia – per valorizzare il sostegno della politica agricola comunitaria, superare le criticità esistenti e rafforzare i punti forti della filiera, migliorando anche la distribuzione del valore aggiunto tra tutti gli attori coinvolti». La Cia e gli allevatori sottolineano che le risorse ci sono, ma occorre spenderle bene, dando risposte immediate a imprese ormai in forte sofferenza. «Non abbiamo altro tempo. Fare sistema intorno alla filiera e mostrare maggiore attenzione per il comparto zootecnico è indispensabile e dovuto a quanti continuano a dimostrare forte attaccamento alla terra e producono per rifornire le tavole degli italiani di produzioni tipiche e di qualità. Altro che le carni sintetiche». L’organizzazione agricola invoca una «forte azione strutturale di rilancio del settore» con progetti strategici e interventi mirati, in particolare per le carni bovine, puntando su innovazione e ricerca. «La transizione 4.0 è la vera risposta per la transizione ecologica – prosegue la Cia –. Servono risorse per ammodernare il sistema produttivo e aumentare la competitività, producendo meglio dal punto di vista qualitativo e ambientale». Per raggiungere questi obiettivi, occorre individuare strumenti finanziari adeguati che permettano agli allevatori di investire in infrastrutture e tecnologie, come ad esempio per una migliore gestione e valorizzazione dei reflui zootecnici. «Per tutto questo – conclude la Cia – i nostri allevatori non hanno più nulla da dimostrare quali “custodi” del territorio, dell’ambiente e delle nostre razze autoctone e sono pronti ad affrontare le nuove sfide del 2025, ma c’è bisogno, nell’ambito dei piani dello sviluppo rurale e della nuova Pac, di maggiore attenzione da parte di tutti i soggetti istituzionali, a partire dall’esperienza del bando per la salvaguardia delle razze autoctone da 1 milione di euro».

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