I dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, con il supporto tecnico di ECA Italia: il 29% delle medio-grandi aziende ricorre allo smart working internazionale contro il 4% delle PMI.
Per smart working internazionale si intende quando un dipendente lavora in un Paese ove il suo datore di lavoro non ha una propria sede. Ad esempio un marketing specialyst italiano che lavora dalla propria abitazione in Italia per un’azienda che ha sede negli Stati Uniti o in qualsiasi altro paese estero, senza spostarsi fisicamente e con contratto di lavoro italiano o in alternativa un ingegnere tedesco individuato da un’azienda italiana che lavorerà dalla propria abitazione in Germania a beneficio del suo datore di lavoro italiano, laddove l’azienda italiana non è dotata di una sua filiale in Germania. In questo caso il contratto di lavoro del dipendente sarà quello tedesco.
Il numero crescente di progetti di Remote Working Internazionale conferma il trend di assunzione di talenti stranieri da parte di società italiane prive di filiali nei paesi di residenza o lavoro dei dipendenti esteri. Si tratta di un nuovo modello di organizzazione internazionale del lavoro che ha trovato una sua consistente espressione a valle della fase pandemica
Il 29% delle aziende di medio grandi dimensioni (250-1000 dipendenti) del campione studiato dal Politecnico di Milano ricorre allo smart working internazionale contro il 4% delle PMI, per le quali il settore che meglio esprime questo trend è, come per le grandi imprese, rappresentato da quello Manifatturiero (62%). Il 53% delle aziende di medio-grandi dimensioni studiate è rappresentato da gruppi internazionali, evidenziando la necessità di una struttura organizzativa orientata alla maturità quale caratteristica di base per guardare a questo tipo di modello di lavoro alternativo.
Le motivazioni
Le principali motivazioni che spingono le grandi imprese ad adottare iniziative di smart working internazionale sono strettamente legate alla sfida del talent shortage, confermando come questa pratica possa rappresentare una soluzione efficace per affrontare la carenza di competenze specializzate: infatti, il 45% delle grandi imprese dichiara di ricorrere all’assunzione o al lavoro da remoto stabile in Paesi in cui l’organizzazione non è presente per attrarre profili con competenze tecniche scarsamente reperibili. Il 31% indica la retention di talenti come seconda motivazione principale che guida le imprese verso l’international smart working. Il 17% ritiene il lavoro da remoto all’estero una leva per l’esplorazione e lo scouting di mercati internazionali ove la capogruppo italiana non ha ancora aperto una propria sede. Per le PMI, invece, il ricorso a questo strumento risiede soprattutto nell’esigenza di espansione in Paesi in cui l’organizzazione sta valutando di aprire altre sedi (30%).
Le criticità
Tra le difficoltà maggiori primeggia, sia per le grandi imprese (48%) che per le PMI (50%), la gestione degli aspetti previdenziali. Per le grandi imprese, la seconda criticità più rilevante è legata alla gestione degli aspetti fiscali; per le PMI, invece, la gestione degli aspetti previdenziali è seguita dalla complessità delle pratiche burocratiche all’estero (34%).
I rischi. Tra i principali rischi nella gestione dello smart working internazionale nelle grandi imprese, prevalgono: la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement per il 57%, il senso di isolamento per il 47% e le difficoltà di integrazione e disallineamento rispetto ai valori aziendali per il 40%. Nelle PMI il rischio maggiore, per contro, è rappresentato dalla gestione in sicurezza dei dati, indicato dal 46% del campione, seguito dalla difficoltà di integrazione con il team di lavoro per il 31%.
Il distacco virtuale
Altra modalità di lavora da remoto internazionale è il distacco virtuale. Si tratta del conferimento di un incarico all’estero a un dipendente di una società dello stesso gruppo aziendale che sarà ubicata, ad esempio, in Germania. Il dipendente tedesco, assunto dalla filiale tedesca, lavorerà per la società italiana, rendendo la sua prestazione in remoto dalla Germania. Il dipendente tedesco entrerà pertanto a far parte virtualmente del team italiano seppure la sua intera prestazione sarà resa dalla Germania. Il Virtual Assignment è diffuso nel 13% delle grandi imprese, potendo far leva sulla presenza di una struttura/filiale estera ove individuare un potenziale candidato. Tra i settori in cui il virtual assignment trova maggiore applicazione spicca il manufatturiero, adottato dal 70% delle imprese con all’attivo iniziative di International smart working. «È a tutti noto la presenza di un mismatch tra domanda e offerta di lavoro: le aziende stanno soffrendo in modo crescente la scarsità di offerta relativa a profili specialistici, con le maggiori criticità legate al reclutamento di risorse di provenienza e formazione Stem – spiega Andrea Benigni, ceo di ECA Italia -. In questo contesto la soluzione organizzativa favorita dallo smart working internazionale permette alle direzioni risorse umane di poter attingere a potenziali candidati sia in Italia che nella UE in particolare, avuto particolare riguardo di una serie di famiglie professionali che hanno mostrato elevate capacità di performance attraverso lo smart working, come l’R&D di alcuni settori, il Project Management o il Marketing. Questo modello organizzativo non ha ancora conseguito una sua maturità in Italia e in generale nell’UE, d’altro canto il suo sviluppo si è determinato con maggiore evidenza a valle della pandemia, è peraltro interessante il dato emergente dalla ricerca del Politecnico di Milano, la prima di taglio scientifico nel nostro paese: le aziende di medio grandi dimensioni hanno iniziato a mettere a fuoco questo tipo di opportunità e l’idea di gestire talenti remoti internazionali non è più un concetto astratto».
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