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Big Pharma chiede all’Europa di aumentare i prezzi delle medicine: «I dazi accelerano l’esodo verso gli Stati Uniti»


di
Francesco Bertolino

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Le aziende farmaceutiche hanno annunciato investimenti per 150 miliardi negli Stati Uniti dopo i dazi, scrivono i ceo di Sanofi e Novartis. Secondo Astrazeneca, «L’Ue ha aumentato le spese per la difesa, ora deve sostenere la sua sovranità sanitaria»

Big Pharma alza la pressione sull’Europa e chiede di aumentare i prezzi dei medicinali. Negli ultimi giorni i manager di alcune fra le principali aziende farmaceutiche europee hanno chiesto all’Ue azioni urgenti per sostenere la competitività dell’industria europea ed evitare un esodo delle imprese verso gli Stati Uniti. 

Gli investimenti negli Stati Uniti

Dall’annuncio dei dazi di Donald Trump, l’industria farmaceutica ha annunciato investimenti negli Stati Uniti per oltre 150 miliardi di dollari, hanno evidenziato i ceo di Novartis e Sanofi, Vas Narasimhan and Paul Hudson, in una lettera al Financial Times. Nonostante le tariffe sui farmaci importati negli Usa siano per ora solo una minaccia, Novartis ha già stanziato 23 miliardi per aumentare la capacità produttiva sul suolo americano, mentre Roche ha presentato un piano da 50 miliardi. Sanofi non ha per ora preso decisioni a riguardo, anche perché il presidente francese Emmanuel Macron ha esortato le aziende francesi a non investire negli Usa sinché non sarà risolta la disputa commerciale con i Paesi Ue. 




















































La disparità dei prezzi

«In Europa non ci sono stati annunci simili», hanno notato i due manager di Novartis e Sanofi, individuando nei prezzi la ragione della disparità di trattamento. Gli Stati Uniti pagano i farmaci in media il triplo rispetto alle altre economie avanzate, secondo le stime del governo americano, che, peraltro, sta valutando di tagliare i prezzi per portarli al livello dell’Europa e degli altri Paesi ricchi. 

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Le richieste di Novartis e Sanofi

A giudizio dei ceo di Novartis e Sanofi, invece, dovrebbe accadere il contrario: dovrebbe cioè essere l’Europa a uniformarsi ai prezzi Usa e non viceversa. «I controlli sui prezzi e le misure di austerità europee riducono l’attrattiva dei suoi mercati», hanno scritto, paventando rischi per l’innovazione e il progresso medico. «Dati recenti mostrano che oltre il 30% dei farmaci approvati negli Stati Uniti non era disponibile in Europa dopo due anni», hanno concluso. «Col tempo, è inevitabile che gli studi clinici e la ricerca e sviluppo si sposteranno ulteriormente negli Stati Uniti e in Cina».

L’allarme di Astrazeneca

A stretto giro, anche il ceo di Astrazeneca, Pascal Soriot, si è unito al coro. «L’ordine mondiale sta cambiando in questo momento», ha detto Sorio. «L’Europa si è impegnata a investire di più nella difesa e ora deve proteggere la propria sovranità sanitaria», ha aggiunto, notando che «l’Europa spende una quota del pil sostanzialmente inferiore a quella degli Stati Uniti in farmaci innovativi e, di conseguenza, sta perdendo terreno nell’attrarre investimenti in ricerca e sviluppo e produzione».

Il piano 

La pressione sulle istituzioni europee è insomma elevata. La Commissione Ue non pare però intenzionata a modificare il piano di riforma dell’industria farmaceutica attualmente in discussione fra il Parlamento e il Consiglio Ue. L’obiettivo del piano è aumentare la capacità produttiva di farmaci in Europa, ridurre le complessità burocratiche e migliorare l’accesso ai farmaci per i pazienti, fra l’altro rendendoli anche economicamente più accessibili.


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