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IL DIVARIO ASSURDO SULLA MOBILITÀ TRA NORD E SUD: PERCHÈ SERVE CAMBIO PASSO


di LEANDRA D’ANTONEIl divario tra Centro-Nord e Sud nella dotazione e nella qualità delle infrastrutture della mobilità è ancora talmente vistoso da essere unanimemente denunciato, anche se purtroppo si tende ad indicarne le ragioni o in politiche pubbliche sin dall’Unificazione ostili al Mezzogiorno o in una presunta vocazione antropologico-culturale ultrasecolare del Sud all’arretratezza economica e civile.

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Le politiche trasportistiche dello Stato italiano, al contrario di quanto dai più ritenuto, sono state per tutta l’età liberale sostanzialmente equilibrate verso le diverse aree territoriali italiane, interessare a valorizzare le risorse di ogni tipo ai fini della formazione della ricchezza nazionale. È significativo che alla vigilia della prima guerra mondiale l’Italia, dipendente dall’estero per le materie prime e capitali, fosse riuscita a pareggiare i conti con l’estero grazie alle esportazioni agricole, agroindustriali e minerarie di tutte le regioni italiane, particolarmente di quelle meridionali, ai noli della marina mercantile e alle rimesse dei milioni di emigrati oltre l’Atlantico partiti soprattutto dal Sud Italia.

La movimentazione delle merci in un sistema di scambi globali disponeva allora di un efficiente sistema intermodale ferrovia-mare, la rete ferroviaria attraversava l’intero territorio italiano ed era connessa con i principali porti del Mezzogiorno e delle grandi isole. Non si ricorda abbastanza che la spesa dello Stato italiano per infrastrutture di trasporto fu per oltre mezzo secolo equa riguardo agli investimenti ferroviari e che fu addirittura più vantaggiosa per il Sud quella per porti e la mobilità via mare; proprio per assecondare gli enormi flussi internazionali delle merci e degli uomini nel grande spazio della globalizzazione del tempo.

Alla vigilia della prima guerra mondiale il Pil del Sud Italia, nonostante lo sviluppo industriale fosse concentrato nel noto “triangolo” settentrionale, era l’80% di quello italiano, misurando una divergenza ancora fisiologica e non patologica. Nonostante la diversa intensità di diffusione nelle regioni meridionali, nelle più grandi città del Sud i servizi urbani della mobilità non differivano sostanzialmente da quelli del Centro-Nord favorendo l’intensa partecipazione delle classi alte e medie alla vivacità culturale della belle époque e simile accessibilità, non solo locale, ad incantevoli beni monumentali, architettonici, artistici e archeologici.

Alla fine della seconda guerra mondiale il divario di Pil tra Nord e Sud sia aggirava intorno al 50%. Ragioni storiche, due guerre mondiali, l’autarchia e il riarmo, avevano determinato la contrazione degli scambi internazionali, deleteria per il Sud d’Italia peraltro teatro di gravissime distruzioni belliche infrastrutture della mobilità. Tuttavia le prime scelte trasportistiche davvero dualistiche (contro le stesse intenzioni dei decisori) sono iniziate negli anni Sessanta del secolo scorso, paradossalmente nel segno di una idea di corto respiro della modernizzazione del Mezzogiorno.

La divisione dell’Italia in due diversi sistemi di trasporto e la disuguaglianza nel diritto alla mobilità si è radicata in occasione della realizzazione del sistema autostradale nazionale. Rispetto al sistema di rete a pedaggio del Centro-Nord, realizzato dalla Società autostrade a partire dall’autostrada del Sole da Milano a Napoli, l’autostrada del Sud da Salerno a Reggio Calabria, sebbene capolavoro dell’ingegneria, fu realizzata con caratteristiche tecniche “minori” di strada superveloce, di collegamento in gran parte di montagna dovendo servire tre regioni tra Tirreno e Jonio, con più pendenze e dislivelli, senza corsia di emergenza e senza pedaggio. Autostrade di rete e di qualità superiore, localizzate nel Centro-Nord, hanno generato in seguito una rete ferroviaria migliore.

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L’Alta velocità ferroviaria, realizzata negli anni Novanta, ha seguito esattamente i percorsi e la logica di rete delle autostrade del Centro-Nord fermandosi specularmente a Napoli e lasciando scoperto tutto il resto del Sud, i cui cittadini e sono ancora oggi costretti all’uso dell’autotrasporto e dell’auto privata per i percorsi più  brevi, e a quello assai più costoso dell’aereo per i collegamenti che nell’altra metà d’Italia si effettuano ormai a cadenze continue e in tempi rapidissimi su treni ad alta velocità a prezzi competitivi (peraltro le offerte low cost, limitatissime, non bastano a coprire gli scandalosi costi dei voli). Tutto questo è noto e talmente grave da aver recentemente reso prioritari, almeno nelle dichiarazioni d’intenti, investimenti nel Sud e nelle infrastrutture della mobilità come impegni fondamentali del Pnrr, attualmente in esecuzione con scadenza 2026.

Raramente sono stati specificamente esaminati gli effetti deleteri di tale dualismo infrastrutturale sulla accessibilità e sulla fruizione dell’immenso patrimonio culturale e artistico delle regioni del Sud. I flussi turistici nel Sud e Isole non raggiungono 1/5 di quelli nazionali; eppure vi si trova un diffuso tessuto di opere e testimonianze storico-culturali di eccellenza e rilevanza mondiale (lo dimostrano i molti siti Unesco al Sud). La qualità della fruizione è legata non solo all’organizzazione delle istituzioni culturali e alla stessa qualità delle comunicazioni locali (spesso gravemente carenti); è un vero handicap l’assenza di quella primaria capacità garantita dai collegamenti principali.

Nonostante notevoli miglioramenti intervenuti negli ultimi decenni nelle politiche europee e nazionali di valorizzazione del patrimonio culturale, il persistente gravissimo divario nel sistema di trasporti tra Centro-Nord e Sud, e soprattutto l’assenza dell’alta velocità ferroviaria in tutte le regioni meridionali inclusa Sicilia (quindi la connessione del Sud ai grandi corridoi intermodali paneuropei), influenza negativamente non solo la fruizione del patrimonio culturale urbano, ma anche dei tanti musei e parchi archeologici delle aree interne.

È significativo che nella classifica per visitatori dei primi 30 siti museali ed archeologici italiani figurino ancora solo 6 siti meridionali, tutti in Campania (quasi tutti nell’area napoletana). Unica eccezione è stata recentemente la Valle dei Templi di Agrigento, la più estesa area archeologica europea e del Mediterraneo, che solo nel 2023 ha superato con oltre un milione di visitatori annui il Museo Egizio di Torino (comunque a fronte degli oltre 12 milioni di visitatori annui del Colosseo). Eppure oltre il 50% dei siti archeologici italiani si trova al Sud; eppure la Sicilia è un parco archeologico a cielo aperto con le sue note numerose aree archeologiche patrimonio dell’Unesco.

Un esempio lampante della correlazione critica indicata è il caso dei Bronzi di Riace. Restaurati a Firenze nel 1980 ed esposti per 6 mesi al Museo archeologico di Firenze hanno avuto in 6 mesi oltre 400.000 visitatori; quindi, esposti al Quirinale, in soli 12 giorni hanno avuto 300.000 visitatori. Dal momento del trasferimento al Museo archeologico di Reggio Calabria ad oggi, il picco in un anno ha raggiunto 230.000 visitatori, con concentrazione nella stagione turistica estiva. È che valorizzazione del patrimonio museale e archeologico nel Sud è notevolmente cresciuta negli anni Novanta grazie ad un risuscitato ”orgoglio culturale” dei sindaci (di diverso colore politico) di molte città meridionali verso i tanti beni culturali in passato sottoutilizzati e persino colpevolmente deteriorati in decenni di degrado dell’urbanistica e dell’amministrazione locale; e grazie alla centralità della valorizzazione dei beni culturali e ambientali della Nuova Programmazione per il Mezzogiorno a cura del Dipartimento per le politiche di coesione e sviluppo con fondi europei, istituito nel 1998 da Carlo Azeglio Ciampi e affidato alla direzione di Fabrizio Barca.

Per la migliore accessibilità del patrimonio culturale e artistico sono stati da fondamentali gli investimenti del DpS nella mobilità urbana con la realizzazione di nuove linee metropolitane e in quella di lungo raggio con nuovi aeroporti, oltre che col potenziamento degli aeroporti internazionali esistenti e dei collegamenti diretti con grandi capitali mondiali. Restano tuttavia ancora irrisolti i nodi strategici della disuguaglianza territoriale in ambito nazionale ed europeo. Anche ai fini della valorizzazione del patrimonio culturale, continuo ad essere convinta che rimanga imprescindibile – anche ai fini dell’adeguamento dei collegamenti locali e delle aree interne – la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria e della viabilità sicura e innovativa lungo tutte le direttrici verticali e trasversali meridionali, Sicilia inclusa.

Questo rende imprescindibile la realizzazione del collegamento stabile stradale e ferroviario nello Stretto di Messina il cui progetto – di elevatissimo valore scientifico e positivo moltiplicatore di impatti, colpevolmente più volte accantonato per ragioni squisitamente partitiche, sembra finalmente giunto alla fase di realizzazione. Il progetto di collegamento stabile contiene già nel suo stesso primato tecnologico mondiale, con 3.300 mt di campata unica e due torri alte 399 mt – il valore inestimabile di un bene ingegneristico-architettonico che arricchirà il grande patrimonio culturale meridionale, italiano ed europeo.

Peraltro, la progettazione urbanistica e di riorganizzazione territoriale si è avvalsa e continuerà ad avvalersi del contributo di grandi architetti, come già avvenuto grazie alla partecipazione di Daniel Libenskind, tra i più famosi architetti contemporanei al mondo, cui si devono tra l’altro opere come il Museo ebraico a Berlino e di Ground Zero a New York.

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Il Pnrr ha avuto diverse formulazioni e diverse opere sono entrate e uscite da esso, fra cui proprio l’alta velocità ferroviaria fra Salerno e Reggio Calabria, di cui è ora in attuazione a carico del Pnrr solo il tratto campano da Battipaglia a Romagnano. In realtà pur annunciando radicali cambiamenti nella qualità delle dotazioni infrastrutturali del Sud, il Pnrr ha sin dalla sua prima formulazione destinato più risorse a porti, strade e ferrovie del Nord. Inoltre, riguardo alle principali opere ferroviarie in corso anche fuori dal Pnrr, la gran parte della Salerno-Reggio Calabria, la Napoli-Bari e la Palermo-Messina-Catania, sono in corso importanti lavori di ammodernamento e la realizzazione della vera alta velocità ferroviaria, quella che includerebbe, con qualità analoghe a quelle del resto del Paese e d’Europa, i cittadini e le risorse del Sud nel sistema della mobilità continentale con pari opportunità, pari diritti e pari libertà. Mi auguro che, essendo in corso la progettazione esecutiva della gran parte dei lotti, si possa ancora correggere l’attuale confuso indirizzo strategico e programmatico.

La piena valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale del Sud italiano fa parte di una compiuta visione identitaria europea, per una Unione europea oggi debole anche per aver finora mancato l’originaria promessa istituzionale, socio-economica e geopolitica mediterranea, più che mai indispensabile alla sua stessa sopravvivenza. (lda)



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