Nel ruolo del mazziere che Trump predilige, è ormai evidente che ha sottovalutato le carte della Cina. Pechino ha calato sul tavolo dei veri e propri carichi da novanta e tutto fa intendere che in mano abbia anche un jolly.
Contromisure cinesi
Le contromisure cinesi seppure prevedibili si sono dimostrate ancora più dure dei contro-dazi. Durante la settimana appena trascorsa, in rapida successione sono stati sospesi gli ordini di Boeing, bloccate le esportazioni di terre rare e le importazioni di gas americano (Gnl). Boeing dovrebbe consegnare 179 aerei a tre compagnie cinesi tra il 2025 e il 2027. Le terre rare, da cui dipendono le industrie americane dell’alta tecnologia e della difesa, si trovano anche altrove, certo, ma la Cina è l’unico Paese a gestirne tutto il complicato e inquinante processo di trasformazione. Il Gas naturale liquefatto è il re delle esportazioni di materie prime Usa che all’ordine di “drill, baby, drill” Trump vuole vendere a tutto il mondo. La Cina da dieci settimane ha sospeso le importazioni e aperto un canale di approvvigionamento con la Russia.
Export cinese e recessione americana
Gli operatori di mercato sanno che l’export cinese non è facilmente sostituibile. La componentistica del Dragone comanda la catena produttiva di centinaia di migliaia di prodotti americani. Mentre per la Cina che importa dagli Usa molti prodotti agricoli le alternative ci sono. Così che i dazi imposti all’agricoltura americana sono diventati gestibili con l’apertura a nuovi mercati, come quello brasiliano. Partono da qui i pericoli di recessione economica che hanno raffreddato subito le Borse dopo l’euforia seguita all’annuncio della sospensione di novanta giorni dei dazi. Le imprese e gli operatori finanziari seduti attorno al tavolo verde del biscazziere Trump, vedono le carte dei due contendenti, conoscono le regole del gioco e iniziano a spazientirsi.
Basta trucchi Mr. Trump
A poco è servito mandare avanti il Ministro del Tesoro Bessent a rassicurare i mercati. Perché i mercati quando cercano di orientarsi nella nebbia ascoltano il bollettino dei naviganti della Banca Centrale, la Fed, che fa valutazioni economiche, tecniche, e non politiche. La lezione del banchiere centrale Jerome Powell è abbastanza semplice: dazi uguale aumento prezzi, uguale rischio inflazione, uguale tassi fermi. Per i mercati questo è il segnale che frena gli investimenti, perché il denaro continua a costar caro e rallenta quindi la crescita. Trump sbraita, ma alla Casa Bianca lo sanno tutti che qualsiasi tentativo di licenziare il presidente della Federal Reserve Jerome Powell rischierebbe di destabilizzare i mercati finanziari. Quindi nonostante i tentativi più o meno sguaiati del biscazziere di screditarlo, gli operatori sanno che il banchiere centrale conosce i tavoli da gioco e ha intravisto un jolly nelle mani della Cina.
Titoli di Stato Usa in mano alla Cina
Il jolly si chiama dollaro e la Cina lo detiene sotto forma di Treasury, i titoli di Stato Usa che ammontano a quasi 800 miliardi nelle casse di Pechino. È un forte potere contrattuale che la Cina può usare come secondo possessore mondiale di titoli di debito americano. La Cina sta diminuendo l’ammontare dei propri Treasury anche con movimenti finanziari sofisticati per far leva sull’aspetto psicologico. Per esempio, alcuni osservatori che seguono i viaggi intorno al mondo dei titoli americani, hanno notato un forte aumento del deposito di Treasury a 10 anni in paesi come il Belgio (in quantità superiore al Pil stesso del Belgio!). In questo caso i sospetti sono caduti sul depositante cinese. In altri casi potrebbero essere collegati sui mercati asiatici ai cosiddetti ‘derivati’, strumenti finanziari che permettono di impegnarli a dieci anni facendo risultare sulla carta che l’ammontare dei titoli è diminuito, seppur se ne mantiene il ‘derivato’. Insomma, la Cina agisce sul piano pratico vendendo i titoli investendo in oro, per esempio.
Effetto pratico e psicologico
Ma anche sul piano psicologico: sposta i titoli e ne confonde la destinazione per minacciare il disimpegno. E’ indubbio che la Cina non ha interesse a far a far precipitare gli Usa in una crisi finanziaria, ma dietro al campo da gioco della guerra commerciale rappresentata dai dazi potrebbe nascondersi un altro campo ancora che è quello di una guerra finanziaria dove l’attacco è diretto al dollaro.
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AVEVAMO DETTO
La faccia come la parte che voleva farsi baciare dai questuanti
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