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Terra bruciata: la nuova instabilità della politica commerciale USA


In questo nuovo appuntamento di “Lupo’s Way” analizzo l’evoluzione della politica commerciale di Trump e lareazione dei mercati. Facciamo quindi il punto della situazione e successivamente analizziamo il quadro grafico dei principali mercati.

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Trump e la strategia del disorientamento per riaffermare l’egemonia USA

La strategia commerciale dell’amministrazione Trump si configura come un’operazione deliberata di instabilità sistemica, finalizzata a riaffermare l’egemonia economica statunitense. L’uso delle tariffe – applicate, sospese e reintrodotte con motivazioni spesso mutevoli – non risponde più a logiche negoziali tradizionali, ma punta a generare disorientamento nei partner economici e nei mercati globali.

Questo approccio ha creato, secondo gli analisti, un contesto operativo definibile come tossico: le imprese si trovano nell’impossibilità di pianificare strategicamente, soprattutto in termini di supply chain, e il rischio sistemico diventa endogeno, prodotto cioè direttamente dalla leadership politica americana.

La politica tariffaria si articola su due direttrici: da un lato, tariffe strategiche volte a incentivare il reshoring produttivo negli Stati Uniti, sostenute da un dollaro debole e incentivi fiscali; dall’altro, dazi tattici utilizzati come leva negoziale in ambito geopolitico – in particolare con la Cina – con l’obiettivo implicito di rafforzare la domanda internazionale di debito americano e creare spazio per politiche fiscali espansive.

L’esempio di Apple è emblematico: l’azienda si trova al centro di un dilemma strategico tra mantenere la produzione in Asia o accettare l’invito dell’amministrazione Trump a rientrare negli Stati Uniti, con vantaggi fiscali ma costi del lavoro significativamente superiori. La scelta di Tim Cook potrebbe rappresentare un indicatore chiave dell’evoluzione del capitalismo globale.

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Nel frattempo, l’amministrazione USA ha annunciato importanti investimenti in settori strategici come l’intelligenza artificiale, e ha rafforzato le restrizioni sulle esportazioni di tecnologie avanzate – come i chip Nvidia – verso la Cina. La competizione tecnologica, dunque, è parte integrante di questa nuova postura economica.

Infine, è rilevante osservare anche la posizione della Federal Reserve. Le recenti dichiarazioni del governatore Waller indicano che, qualora l’inflazione dovesse salire per effetto delle tariffe, la Fed potrebbe considerare un taglio dei tassi. Gli analisti ritengono probabile che un primo intervento possa già avvenire nella riunione del 7 maggio.

 

La panoramica sui principali mercati

Andiamo ora ad analizzare – come di consueto – la situazione tecnica e grafica dei principali mercati, partendo dallo S&P 500.

 

S&P 500

Attualmente ci troviamo con un S&P 500 che, la scorsa settimana, ha testato una zona tecnica molto interessante compresa tra 5.380 e 5.527 punti. Quest’area era considerata una possibile resistenza chiave, che avrebbe potuto offrire un’indicazione sulla solidità del rialzo in corso.

Per ora, però, il mercato mostra segni di debolezza. Le trimestrali, iniziate venerdì scorso, arrivano in un momento particolarmente complicato. Secondo diversi analisti, la guidance delle aziende potrebbe risultare imprecisa, a causa della forte incertezza sui tassi. Per molti economisti, questa stagione potrebbe essere tra le più deludenti.

La zona dei 5.086 punti rimane un’area chiave da monitorare. Un ulteriore ribasso potrebbe portare i prezzi verso un “death cross” tra la media semplice a 200 e 50 periodi, con un potenziale ritorno verso quota 4.706 punti.

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Tuttavia, ricordiamo che siamo sempre all’interno di una fase di pullback. La liquidità c’è, ma ancora non entra pienamente nel mercato. La volatilità elevata rende il contesto interessante per il trading, ma molto rischioso per operazioni di medio termine.

 

Nasdaq 100

La situazione del Nasdaq riflette quella dello S&P 500, ma in modo più accentuato. L’indice tecnologico si conferma come più debole tra i tre principali, avendo registrato una perdita vicina al 27%. Dal punto di vista tecnico, il Nasdaq 100 si muove all’interno di una zona compresa tra 18.345 e 19.125 punti.

I supporti principali si trovano in area 17.223 punti, mentre le resistenze tra 19.946 e 20.606 punti. Il settore tech, in particolare quello dei semiconduttori, risente di continue notizie, spesso contrastanti, che limitano la possibilità di un rialzo corposo. In questo contesto, la prudenza è d’obbligo: il Nasdaq rimane tra gli indici più volatili e più sensibili alle notizie macroeconomiche.

 

Dow Jones

Il Dow Jones appare leggermente più resiliente, grazie anche alle ottime performance del settore bancario. Le trimestrali pubblicate tra venerdì e lunedì hanno mostrato numeri solidi, rendendo la pressione ribassista un po’ più gestibile. Tuttavia, la volatilità resta alta e un ritorno di vendite improvvise potrebbe cambiare rapidamente il quadro.

L’area dei 38.000 punti ha funzionato bene come supporto, confermandosi come zona attrattiva. Tutto il rialzo del 2024 è stato completamente annullato, riportando i prezzi quasi ai livelli di fine 2023. Le aree chiave da monitorare ora sono 41.160 punti come possibile target di risalita e 42.361 punti come resistenza di breve periodo.

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DAX

Il DAX vive un contesto di grande incertezza, legato sia alla politica interna che alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Gli analisti vedono nell’eventuale combinazione tra politica fiscale espansiva e stimoli della BCE un potenziale catalizzatore.

Tuttavia, il sell-off iniziato a fine marzo ha annullato la rotazione settoriale che aveva portato flussi da USA e Cina verso l’Europa. Attualmente, il supporto psicologico è in area 20.000–20.314 punti, mentre la resistenza di breve si trova intorno a 21.474 punti. Un ritorno verso area 22.000 è possibile solo in presenza di maggiore liquidità e ricoperture, ma il rischio rimane elevato mentre la volatilità si mantiene alta.

 

FTSE Mib

Anche l’indice azionario italiano riflette la stessa struttura tecnica del DAX, segno di un’elevata correlazione tra i principali indici europei. L’area tra 36.140 e 36.148 punti rappresenta la resistenza chiave, mentre il supporto più importante si trova a 33.593 punti.

Il FTSE Mib è tornato a livelli che non si vedevano dal 2008 e diversi analisti ipotizzano un possibile allungo verso i 40.000 punti, ma solo in presenza di un sentiment decisamente più positivo e di una partecipazione più convinta della liquidità.

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Hang Seng

La Cina rimane stabile, ma la situazione dipende fortemente dal proseguimento degli stimoli monetari e fiscali. Se il governo cinese continuerà a sostenere l’economia e a contenere le tensioni con gli Stati Uniti, è possibile un recupero più solido.

Il mercato guarda con attenzione alla gestione della guerra commerciale e alla tenuta delle misure espansive. La struttura tecnica dell’indice suggerisce un possibile consolidamento, ma ancora manca la spinta decisiva.

 

VIX

Passando al VIX, dopo i recenti spike l’indice della volatilità inizia a mostrare lievi segnali di stabilizzazione, coerenti con le attuali condizioni di mercato. Tuttavia, il valore rimane ancora elevato. Secondo gli analisti, sarà necessaria una discesa più marcata del VIX, idealmente verso l’area compresa tra 31 e 27, per rientrare in un contesto più equilibrato.

Le tensioni geopolitiche attuali restano però molto forti. Gli esperti invitano alla prudenza: una discesa repentina del VIX appare improbabile, a meno di eventi straordinari come un accordo clamoroso tra USA e Cina.

 

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Dollaro USA

Il dollaro continua la sua discesa, ben visibile anche su grafici weekly. Alcuni analisti parlano addirittura di un possibile bear market secolare. Tuttavia, secondo una visione più moderata, il dollaro potrebbe restare su livelli contenuti per supportare le politiche di rilancio economico, come auspicato dall’amministrazione Trump.

Si prevedono comunque fasi di rimbalzo legate all’evoluzione delle condizioni di mercato. Attualmente, il cambio si trova a ridosso di un supporto storico tra 98 e 97. Un’ulteriore discesa potrebbe condurre i prezzi verso l’area 95–94, corrispondente ai livelli di inizio 2022.

 

EUR/USD

L’euro-dollaro, come tutte le valute con il dollaro USA al denominatore, prosegue il suo trend rialzista. Il superamento deciso dell’area 1,10 ha aperto la strada verso target più ambiziosi. La zona 1,15 rappresenta una resistenza storica, legata a una fase distributiva del 2021.

Se la forza attuale dovesse persistere, si aprirebbero scenari verso 1,19–1,20. Tuttavia, bisognerà valutare l’effetto dei futuri tagli della BCE, che potrebbero rallentare questo movimento. Per il momento, l’area di 1,10 si conferma un supporto tecnico importante su base settimanale.

 

GBP/USD

La sterlina beneficia della debolezza del dollaro USA, mostrando forza e possibilità di raggiungere quota 1,35 nelle prossime settimane. Il grafico daily segnala movimenti molto dinamici, ma anche elevata volatilità.

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È quindi essenziale adottare una rigorosa gestione del rischio, evitando ingressi emotivi legati alla FOMO o al panico. Il supporto chiave si trova nell’area 1,27–1,28, valido anche su base mensile. Nel breve termine, sarebbe positivo mantenersi sopra 1,30–1,3150, in linea con le attuali condizioni di mercato.

 

USD/JPY

Il cambio dollaro-yen prosegue nella sua fase ribassista, attribuita a un possibile cambio di rotta da parte della Banca centrale del Giappone. Dopo anni di politiche ultra-espansive, si intravede una progressiva riduzione degli acquisti di bond USA e un possibile rialzo dei tassi d’interesse.

Secondo alcuni analisti di Wall Street, questo trend potrebbe proseguire per anni. I supporti attuali sono fragili e si guarda con attenzione alle aree di 140 e successivamente 138–133 come possibili target. Il contesto di smantellamento dei carry trade e l’elevata incertezza mantengono il cambio in una struttura ribassista ben definita dal marzo scorso.

 

Oro e Argento

L’oro è tornato protagonista sui mercati, diventando il “nuovo trade globale” secondo molti analisti, al punto da essere considerato l’erede dei “Magnifici Nove”. La Cina continua ad acquistare oro e ha autorizzato i fondi nazionali a includerlo nei propri portafogli, anche tramite ETF.

In un contesto dominato dall’incertezza, l’oro viene considerato un asset difensivo di riferimento. Goldman Sachs prevede un target a 4.000 dollari l’oncia entro il 2026. Attualmente il metallo prezioso mostra forza, con volumi solidi e nessun segnale di inversione.

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Un’area tecnica da monitorare si colloca tra 3.190 e 3.247 dollari: un ritorno sotto questi livelli potrebbe causare una fase correttiva, anche se contenuta. La tendenza rialzista resta dominante. Anche l’argento segue un andamento positivo, seppur più laterale.

Quotato intorno ai 30 dollari, è considerato uno strumento stabile. Gli analisti prevedono un possibile ritorno verso i 40 dollari nei prossimi anni, alcuni esperti prospettano addirittura che questo livello possa essere raggiunto già nel 2026.

 

Petrolio

Il petrolio ha subito un forte ribasso, influenzato dall’incertezza globale legata a dazi, decisioni dell’OPEC+ e dinamiche geopolitiche. Tuttavia, da un punto di vista tecnico, questi movimenti estremi – noti come shakeout – possono preludere a rimbalzi tecnici importanti.

Attualmente i prezzi oscillano intorno ai 61 dollari e potrebbero salire fino all’area di 64 dollari, anche solo per un pullback. È importante sottolineare che la volatilità rimane elevata e che il mercato non ha ancora trovato una base stabile. In scenari come questo, i pullback possono recuperare fino al 50% del movimento precedente, ma non sono necessariamente segnali di inversione duratura.

 

Bitcoin ed Ethereum

Bitcoin continua a muoversi in una fase di congestione, con prezzi che da settimane rimangono intrappolati in un range piuttosto stretto e volumi di scambio in costante calo. L’area dei 76.000 dollari ha mostrato una configurazione tecnica riconducibile a un triplo minimo, livello che corrisponde al movimento rialzista registrato subito dopo le elezioni di Trump.

Tuttavia, l’attuale contesto macroeconomico, segnato dalle tensioni sui dazi, non sta favorendo una ripresa decisa delle quotazioni. Secondo molti analisti, la causa principale della debolezza attuale è la mancanza di nuova liquidità in ingresso sul mercato.

Non mancano però segnali interessanti: tra questi, la recente dichiarazione del governo americano che ha aperto alla possibilità di vendere parte delle proprie riserve auree per acquistare Bitcoin. In un contesto diverso, notizie di questo tipo avrebbero potuto generare una reazione molto più marcata sul mercato.

Dal punto di vista tecnico, la situazione resta molto chiara. I livelli chiave continuano a essere ben definiti, con l’area degli 81.000 e quella dei 76.000 dollari, che si confermano supporti rilevanti, mentre un ritorno stabile sopra gli 86.000 dollari potrebbe rappresentare il primo segnale di un potenziale recupero più strutturato.

Anche Ethereum si trova in una situazione simile, se non addirittura più fragile. Al momento non emergono segnali di inversione, e il grafico mostra una serie evidente di massimi decrescenti. Ancora una volta, il problema centrale sembra essere la mancanza di interesse da parte degli operatori istituzionali, con la liquidità che tarda ad arrivare.

I prezzi stanno testando livelli potenzialmente interessanti, come l’area dei 1.000 dollari, ma manca ancora un supporto forte e riconosciuto dal mercato. Anche qui, le condizioni attuali non offrono spunti significativi per una ripartenza.

 

 

 

 

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