È andata bene? «È andata bene». Sull’aereo di ritorno da Washington, nella notte di venerdì, Giorgia Meloni ha avuto modo di tracciare un bilancio a caldo del faccia a faccia con Donald Trump. Preparato per mesi nei dettagli. Atteso e temuto per l’imprevedibilità dello “show-man” a capo della prima potenza mondiale. «Alla fine ci è venuto incontro, non era scontato ed è un segnale importante per noi» riflette la premier confidandosi all’indomani con ministri e consiglieri. Convinta che Trump abbia appositamente calibrato le sortite nello Studio Ovale sui temi politicamente più scivolosi per la leader italiana. Niente affondi frontali contro l’Europa e le sue istituzioni, mentre Meloni annunciava un summit a Roma con i leader europei e si preparava a telefonare a Ursula von der Leyen. E in fondo ha usato i guanti e non i guantoni, il Tycoon, visti i precedenti, affrontando di fronte ai cronisti nell’Oval Office il tema della guerra in Ucraina. Segnali in cui la presidente del Consiglio ha colto un assist politico non banale. Certificato la mattina dopo da Trump con un post su Truth. «Il primo ministro italiano “Georgia” Meloni è stata grande ieri nella sua visita alla Casa Bianca. Ama il suo Paese e ha lasciato in tutti un’impressione fantastica». Ricambia Meloni da Roma: «Grazie presidente Trump! Continueremo a lavorare insieme per rafforzare il legame tra i nostri popoli e affrontare con determinazione le sfide globali». A Roma si fanno i conti del giorno dopo sul viaggio americano. Con i suoi Meloni non nega «le distanze» con l’uomo forte della Casa Bianca. L’Ucraina, la condanna dell’aggressione russa e in fondo un’idea dell’Occidente e dei valori conservatori molto distante dal commander-in-chief americano, per cui tutto è affari, scambio, convenienza. Però si guarda al bicchiere mezzo pieno. E qui spicca il bilaterale in programma a giugno a Roma, la prima visita ufficiale di Trump che può trasformarsi in un vertice fra Stati Uniti ed Europa.
COME NEL 2002
Il ponte italiano tra le due sponde dell’Atlantico – Meloni «ha rafforzato l’interlocuzione tra Ue e Stati Uniti» riconosceva ieri da Noi Moderati Mara Carfagna – oggi appare un po’ più solido di tre mesi fa, quando il Tycoon è stato incoronato nella Rotunda del Congresso. «Una Pratica di Mare-bis» dice semiserio un ministro riavvolgendo il rullino fino al summit tra Putin e Bush sul litorale laziale nel 2002, la stretta di mano con Silvio Berlusconi e quel sogno – rimasto nel cassetto – di archiviare la Guerra Fredda tra pacche e sorrisi. Non era scontato che Trump aprisse e invece l’apertura è nero su bianco nel comunicato della Casa Bianca: potrebbe vedersi a tu per tu con i vertici europei nella Capitale, prima dell’estate. Non era scontato infine, riflette ancora chi ha preparato insieme a Meloni la trasferta, che il presidente americano “graziasse” l’ospite – almeno di fronte alle telecamere – dalle rimostranze e le proteste delle imprese statunitensi e della Silicon Valley verso un Paese spesso ritenuto ostico per chi vuole investire. Tasse, regolamenti, leggi Ue e una burocrazia lumaca formano una muraglia di cui si lamentano di continuo con Trump i top manager delle grandi aziende americane, forti dei finanziamenti monstre elargiti alla sua campagna elettorale. Vedono nel presidente, non a torto, il loro primo “lobbista” all’estero e lui non disdegna affatto il ruolo, tra minacce e pugni battuti sul tavolo con gli alleati e i partner che mettono i bastoni fra le ruote agli investimenti Usa e non ricambiano portando negli States capitali e know-how. Ecco, se a porte chiuse, nel business lunch con la delegazione italiana, il team Trump ha reso chiare le richieste sul tavolo – il comunicato congiunto è nettissimo, del resto, sull’esigenza di rivedere la web tax considerata “discriminatoria” per i giganti del web americani – davanti ai riflettori neanche un accenno. Certo non tutto è oro. L’apertura di Trump a un confronto franco con l’Europa quanto può durare? E che dire dei negoziati per l’Ucraina, che solo ieri il presidente minacciava di abbandonare al suo destino? La “special relationship” fra Meloni e Trump fotografata ieri dalla grande stampa americana ha sempre avuto, in fondo, una quota di “azzardo” politico. Dopo ventiquattro ore col fiato sospeso nella capitale americana Meloni – che per Trump ormai “Georgia”, come a suo tempo Conte è stato “Giuseppi” nei cinguettii social – è tornata convinta che ne sia valsa la pena.
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