Scarso utilizzo della previdenza complementare, con evidenti ricadute sull’entità dell’assegno, e fondi pensione che di conseguenza non hanno abbastanza risorse da destinare all’economia reale. Gli annosi problemi del sistema previdenziale italiano sono finiti al centro del Salone del Risparmio 2025.
È tempo di agire, è il messaggio che arriva dai politici e dagli esperti intervenuti, a partire dal secondo pilastro. Su 24 milioni di lavoratori, in Italia solo il 40% accede alla previdenza complementare e questo nonostante i rendimenti positivi dell’anno scorso, tra cui spicca il 10-13% del comparto azionario.
Costi troppo alti
Il problema è nei prezzi oltre che nella scarsa educazione finanziaria. A fine 2024 gli indicatori sintetici di costo per i comparti azionari, considerando un periodo di permanenza di dieci anni, erano dello 0,4% per i fondi negoziali. Per gli aperti salivano all’1,72% e per i pip addirittura al 2,6%.
«Chiediamo all’offerta di rivedere i prodotti in vendita: quelli esistenti sono troppo cari, 150 punti base all’anno in media», ha spiegato al Salone Mario Nava, direttore generale per gli Affari Sociali della Commissione Ue. «Con questi prezzi è davvero complicato convincere i giovani a iscriversi».
Assegni più poveri
Il rischio, insomma, è che la previdenza complementare resti un fenomeno di nicchia, in un contesto non dei migliori. In Italia la popolazione continua a invecchiare e gli over 65 supereranno il 35% entro il 2050 (fonte Itinerari Previdenziali). Questo fenomeno già di suo mette a rischio la tenuta del sistema, che al momento è ancora sostenibile. In futuro però sempre meno giovani verseranno i contributi per pagare le pensioni di un numero crescente di anziani.
Senza contare che con l’allungarsi della speranza di vita aumenteranno anche le esigenze legate alla salute, quindi ci sarà bisogno di spendere di più per le cure. Il solo assegno ordinario potrebbe non bastare, anche perché diminuirà con il metodo contributivo, meno generoso del vecchio retributivo. Da qui il bisogno di intervenire al più presto.
Le idee dal Salone
Al Salone non sono mancate le proposte. Secondo Nava, «per stimolare le iscrizioni il risparmiatore deve sapere quanto riceverà grazie alla previdenza complementare tra 20, 30 o 40 anni». Il ceo di Arca Fondi sgr, Ugo Loeser, pensa inoltre che fondi pensione aperti e piani individuali pensionistici (Pip) dovrebbero fare accordi con le aziende al pari dei fondi negoziali, mossa che conterrebbe i costi.
La speranza, poi, è di fare progressi grazie all’Unione dei Risparmi e degli Investimenti. L’Ue l’ha appena lanciata e la commissaria per i Servizi Finanziari, Maria Luís Albuquerque, ha promesso novità anche sulla previdenza complementare «per aiutare i risparmiatori ad affrontare i grandi eventi della vita».
Così l’Europa proverà a rimediare al fallimento di strumenti come i prodotti pensionistici individuali paneuropei (Pepp), lanciati nel 2022 ma mai decollati per via dei differenti regimi fiscali e dei ritardi nella ricezione da parte di alcuni Stati membri.
Le proposte del governo
I governi insomma hanno le loro colpe. Dalla plenaria del Salone del Risparmio il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha promesso di rimettere mano alle regole della previdenza complementare per far salire gli iscritti.
Il sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Durigon, è sceso più nel dettaglio è si è impegnato a lavorare per renderla obbligatoria. Anche l’anno scorso il governo ha cercato di riaprire un semestre di silenzio-assenso per far confluire il Tfr nei fondi pensione, ma poi si è arreso per assenza di coperture.
Il modello americano
Più iscritti permetterebbero a questi veicoli di indirizzare più denaro verso le aziende, ben oltre i 3,5 miliardi investiti nell’economia italiana negli ultimi cinque anni. Un po’ quel che accade negli Stati Uniti, dove giganti come Kkr ricevono enormi risorse dai fondi pensione. Soldi che poi spendono per comprare asset strategici nel mondo, come accaduto in Italia con la rete Tim. (riproduzione riservata)
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