«Non si può più perdere tempo. Ne va della sopravvivenza futura delle aziende.»
Parlando con Industria Italiana, Fabio Pompei, Ceo di Deloitte Italia, mette subito in chiaro la posta in gioco: la transizione all’intelligenza artificiale generativa non è una scelta tecnologica, ma un’urgenza strategica.
Per reggere la competizione globale, le imprese devono ripensare i propri modelli operativi, investire in competenze e colmare un gap che, in Europa, continua ad allargarsi. Pompei lancia un appello a imprenditori, manager e decisori pubblici: serve un ecosistema che unisca imprese, istituzioni, ricerca e formazione. Ma servono anche tempi nuovi, più rapidi, più concreti. Perché – sottolinea – “oggi conta meno parlare, e molto di più agire”.
D. Dottor Pompei, nel presentare il Solaria Space a un pubblico di professionisti e manager, quale messaggio ritiene più urgente far passare?
R. Il messaggio è chiaro: non si può più perdere tempo. Ne va della sopravvivenza futura delle aziende. Se ne parla molto, ma i dati ci dicono che l’utilizzo della GenAI da parte delle imprese italiane ed europee è ancora molto limitato. A mio avviso, gli investimenti in quest’ambito dovranno essere sempre più consistenti. Tuttavia, c’è un tema cruciale: gli investimenti vanno accompagnati da competenze, altrimenti rischiano di essere inefficaci.
D.Cosa frena, secondo lei, l’adozione dell’AI da parte delle aziende italiane?
R. Il punto è che molte imprese non hanno ancora calato l’intelligenza artificiale nel loro modello di business. Devono decidere in che modo questa tecnologia le aiuterà nel business attuale, capire quali nuovi modelli possono sviluppare, ripensare le strategie di fondo. Non è come cambiare un’auto passando dal motore termico a quello elettrico. Qui non si sostituisce un componente: si ripensa tutto.
D. Quindi il cambiamento richiesto è più radicale di quanto si pensi?
R. Assolutamente sì. È un ripensamento strategico, non un aggiornamento tecnologico. Non si tratta di cambiare un sistema applicativo, ma di ridefinire il modo in cui si genera valore. La GenAI offre opportunità completamente nuove, ma per coglierle servono visione e capacità esecutiva.
D. E qui si apre il tema delle competenze…
R. Esatto. Bisogna avere la capacità di ridefinire il modello, ma anche – e forse soprattutto – la capacità di realizzarlo. È nella fase implementativa che emergono i maggiori ostacoli. In Italia, oggi, abbiamo un gap importante di talenti. Le persone in grado di lavorare su questi progetti sono ancora poche.
D. Cosa devono fare quindi imprenditori e manager?
R. Devono investire, su tre fronti: talenti, tecnologia e formazione. Senza persone competenti, non si va da nessuna parte. Bisogna formare risorse da zero, prenderle dal mercato e costruire nuove competenze. È una priorità assoluta.
D. E il contesto europeo, secondo lei, sta sostenendo adeguatamente questa transizione?
R. Purtroppo l’Europa è ancora troppo concentrata sulla regolamentazione. Rispetto a Stati Uniti e Cina, abbiamo già un ritardo significativo. Abbiamo normato, ma non incentivato. E oggi siamo fuori dai giochi principali: non abbiamo piattaforme tecnologiche forti, non guidiamo lo sviluppo.
D. Vede segnali di cambiamento a Bruxelles?
R. Qualcosa si sta muovendo. Da gennaio, in Commissione Europea, si è aperto un nuovo capitolo: c’è maggiore attenzione alla sostanza, meno ideologia, più focus sull’incentivazione dell’innovazione. Vedremo se questa svolta si tradurrà in misure concrete. Ma il tempo, ancora una volta, è una variabile che non possiamo permetterci di sprecare.
D.Se il cambio di passo non arriverà presto?
R. Difficilmente riusciremo a recuperare il gap attuale. Se le azioni restano solo individuali, il progresso sarà troppo lento. Serve un ecosistema in cui Stato, istituzioni, centri di ricerca, università e imprese lavorino insieme. Alcuni bandi europei incentivano questo approccio, ma spesso sono troppo complessi o poco accessibili per le imprese. Servono consulenti solo per interpretarli. Non è il modello migliore, soprattutto se vogliamo accelerare.
D. Sul fronte delle competenze, come si muove Deloitte?
R. In Italia siamo oltre 14.000 persone, quasi 15.000. Ogni anno assumiamo mediamente più di 3.000 nuovi professionisti. Ma il vero problema è a monte: non escono abbastanza profili con skill AI dalle università. Il paradosso è che c’è piena occupabilità per chi sceglie questi percorsi, eppure sono ancora troppo pochi i giovani che li intraprendono, soprattutto le ragazze.
D. Che messaggio darebbe alle PMI italiane?
R. Per loro la sfida è ancora più complessa. Hanno meno risorse da investire, sia economiche sia umane. È per questo che diventa fondamentale ragionare in logica di filiera, fare rete. In Italia è una delle
D. Un ultimo messaggio al pubblico specializzato che legge Industria Italiana?
R. Oggi si parla moltissimo di intelligenza artificiale, forse anche troppo. Io credo che contino i fatti. Servono piani concreti, realizzabili, misurabili. E servono adesso. Il tempo, oggi, è la risorsa più scarsa.
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