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Lorenzo Bini Smaghi: «Per i nostri politici il mercato è una bestemmia»


Nonostante le tante associazioni (troppe?), gli operatori del mercato hanno una scarsa capacità di farsi sentire dalla politica. In che cosa sbagliano? E come potrebbero migliorare?
Forse bisogna cercare di mettersi nei panni di chi svolge un ruolo politico e capire che cosa potrebbe fargli cambiare idea. Dobbiamo riconoscere che chi fa politica oggi parte con un pregiudizio (l’arte è per benestanti) che nasconde la mancanza di coraggio e la poca comprensione del suo ruolo nella nostra società. Che cosa si deve fare per creare incentivi inserendo l’arte all’interno dell’agenda politica? È necessaria un’analisi approfondita del sistema economico che evidenzi come l’arte rappresenti uno strumento di sviluppo con un forte indotto sul territorio, in grado di offrire vantaggi concreti per la società e anche per la politica. È insomma indispensabile dare vita a una nuova narrazione. 

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La Francia al contrario dell’Italia, ha compreso da tempo che il mercato ha un forte peso culturale: ha sempre incentivato le grandi collezioni (basti pensare alle agevolazioni offerte a Pinault e Arnault per aprire i loro spazi a Parigi) e favorito l’accesso delle fiere internazionali come Art Basel Paris. Anche Christie’s organizza la sua asta d’arte italiana nella Ville Lumière e ha abbandonato Milano.
In Francia la cultura viene considerata come uno strumento essenziale di sviluppo economico e sociale, soprattutto nel caso di Parigi. Per questo non si teme la collaborazione con i privati. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’Italia ha il vantaggio di non avere un tale accentramento economico e culturale, ma ciò richiede un’azione più diffusa, a livello locale. Che in alcuni casi è efficace e in altri meno.

Ci spieghi meglio.
Voglio dire che i risultati migliori si ottengono quando i progetti hanno continuità nel tempo e non vengono intralciati dai continui cambi di amministrazione. Palazzo Strozzi a Firenze è sicuramente un esempio virtuoso: quando ho assunto la presidenza nel 2006 (l’ho mantenuta per 10 anni) era una realtà totalmente inesistente, nota solo per aver ospitato la Biennale degli Antiquari. Ora è una delle istituzioni culturali più floride in Italia.

Il 2024 è stato un annus horribilis per il mercato dell’arte con una flessione complessiva nelle vendite pubbliche superiore al 25%. Che cosa pensa possa accadere nel 2025, con le continue intemperanze di Trump?
Le politiche di Trump creano incertezza che certo gli investitori non apprezzano. L’arte è in parte anche un bene rifugio, ma ciò è vero solo per gli artisti più noti. A soffrirne sono quelli più giovani, che hanno bisogno di sostegno e di un atteggiamento più aperto al rischio da parte dei collezionisti.

Il sistema museale italiano è boccheggiante con i finanziamenti alla cultura scesi negli ultimi dieci anni del 43% passando da 5,5 miliardi a 3,1. Quali sono le riforme necessarie per un rilancio?
Bisogna coinvolgere di più i privati, ad esempio con un uso più esteso dell’ArtBonus con minori vincoli quantitativi e burocratici. Bisogna anche spendere meglio, in modo più prevedibile e coordinato tra livello nazionale e locale. In tal senso, la Toscana ha dato un segnale importante con la Regione che integra i fondi dell’Art Bonus favorendo il mecenatismo privato.

Non crede che l’ibridazione pubblico-privato con le gallerie potenti che talvolta paiono spadroneggiare nei musei sfruttando la loro evidente carenza di fondi, rischi di essere nociva e vada a discapito della ricerca?
Se lo spazio pubblico è autorevole non ha alcuna difficoltà a collaborare con il privato. Altrimenti soccombe. Ci sono opportunità per tutti. Basta avere progetti ambiziosi e persone in grado di portarli avanti.  Prendo l’esempio di Firenze e Prato, distanti appena 20 chilometri, dove coesistono Palazzo Strozzi, che sta per compiere vent’anni e prevede un programma di mostre internazionali di grande impatto, e il Centro Pecci, che ha recuperato un ruolo centrale di ricerca e valorizzazione di artisti giovani con la capacità di affrontare tematiche complesse e di «frontiera» nell’ambito dell’arte contemporanea. Va poi considerata tutta la rete del contemporaneo in Toscana con istituzioni pubbliche e private, da Carrara, Livorno fino a Orbetello, passando per Capannori, Pistoia e il Chianti. Il ruolo del settore pubblico è proprio sostenere questa rete favorendo le sinergie e la cooperazione a vantaggio di chi vive nel territorio, ma anche di chi arriva da lontano, non solo per ammirare l’arte classica ma anche per cercare stimoli nuovi.

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Nel caso del Centro Pecci di cui lei è presidente come viene gestito il bilancio? Riuscite a far quadrare i conti e quanti sono gli spettatori all’anno?
Il vincolo del bilancio in pareggio è fondamentale per cui abbiamo messo in piedi un sistema di monitoraggio molto preciso nel corso dell’anno per assicurarci di rimanere all’interno del budget. Il che non è facile in quanto il flusso delle entrate è discontinuo e il lavoro di ricerca fondi è legato alle incertezze economiche che ben conosciamo. Abbiamo tuttavia fatto molti progressi in questi anni nel controllo di gestione. Anche in termini di visitatori (daremo i numeri definitivi con la chiusura di bilancio ai primi di maggio) si nota un ritorno oltre i livelli pre Covid-19 nonostante un giorno di chiusura settimanale in più. C’è una grande domanda di cultura e di arte che va intercettata e assecondata, coinvolgendo scuole, università, imprese. È un lavoro che richiede lungimiranza e capacità manageriali. 

Il Centro Pecci ha un’importante collezione permanente. Sono previste nuove acquisizioni?
Le opere in collezione sono oltre 1.200, una parte delle quali è esposta in un’ala del museo (attualmente Boetti, Kapoor, Kounellis, Richter, Warhol…). Grazie ai bandi ministeriali come Pac o Strategia Fotografia siamo stati in grado di acquisire importanti opere, per un valore di circa 500mila euro negli ultimi tre anni, che vanno a colmare il «gender gap» e a rendere più specifica la collezione su artisti che hanno avuto forti relazioni con la Toscana, che si confrontano con l’immagine in movimento o con la fotografia. Tra gli esponenti più significativi entrati recentemente in collezione potrei citare Diego Marcon, Adelaide Cioni, Chiara Camoni, Sylvano Bussotti, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Hervé Guibert, Lina Pallotta e Armin Linke.



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