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Frenata tricolore: economia in bilico nel 2025 – Torino Cronaca


Nonostante il calo dei tassi d’interesse e la tregua sui prezzi dell’energia, il 2025 è iniziato con il piede incerto per l’economia italiana. Il nuovo rapporto Congiuntura Flash del Centro Studi di Confindustria traccia un quadro complesso: più ostacoli che slanci, con una crescita del PIL prevista modesta e ancora fragile, frenata da fattori esterni come l’instabilità geopolitica, i dazi commerciali e una fiducia che fatica a risalire.

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Gli annunci (e le minacce) di nuove barriere doganali, in particolare tra Stati Uniti, Europa e Cina, stanno mettendo pressione su imprese e famiglie. I mercati finanziari, già volatili, ne risentono e di riflesso calano la propensione agli investimenti e le decisioni di spesa. Unico effetto positivo di questa tensione globale, sottolinea Confindustria, è la discesa dei prezzi dell’energia, che alleggerisce i costi per aziende e cittadini. Il clima per gli investimenti è peggiorato. A marzo, il livello di fiducia tra le imprese italiane è sceso sotto la media annuale, e nel primo trimestre del 2025 i giudizi sulle condizioni per investire risultano più negativi rispetto alla fine del 2024, sia nel settore dei servizi sia nelle costruzioni.

Dopo cinque trimestri consecutivi in calo, l’industria italiana fa registrare un piccolo rimbalzo: +0,4% la crescita acquisita del PIL nel primo trimestre, secondo i dati parziali. Tuttavia, questo miglioramento rischia di essere di breve durata. A febbraio si è registrato un forte calo del fatturato, la fiducia delle imprese è tornata a scendere e a marzo l’indice PMI ha segnalato una nuova contrazione dell’attività. In altre parole, l’industria resta in bilico, con il timore che l’effetto dei dazi possa trasformare una fase di debolezza in una crisi strutturale.

Non va meglio sul fronte dei consumi. Il reddito reale delle famiglie italiane è calato dello 0,6% nel quarto trimestre del 2024, frenando l’espansione annua al +1,2%. Le famiglie hanno iniziato a consumare leggermente di più, ma solo perché hanno ridotto i risparmi, che sono tornati su livelli pre-pandemici (dal 9,1% all’8,5% del reddito disponibile). A febbraio, le vendite al dettaglio sono rimaste praticamente ferme, con un timido +0,1% per gli alimentari.

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Tra le poche buone notizie, l’occupazione continua a crescere, nonostante il rallentamento generale. Nei primi due mesi del 2025 si sono registrati oltre 230mila occupati in più rispetto alla fine del 2024 (+1%). E anche la disoccupazione prosegue lentamente la sua discesa. È un segnale di tenuta, ma resta da vedere quanto potrà reggere senza un rilancio concreto dell’economia reale.

Guardando oltre i confini italiani, anche il resto dell’Eurozona non naviga in acque tranquille. La Germania mostra un leggero recupero (+0,4% nel trimestre), mentre Francia e Spagna registrano contrazioni. Gli Stati Uniti, prima dell’annuncio dei nuovi dazi, crescevano a buon ritmo. In Cina, l’export è cresciuto temporaneamente, con le aziende che si sono affrettate a spedire le merci prima dell’entrata in vigore dei dazi. Ed è proprio sul terreno dei dazi che si gioca una partita delicatissima. Confindustria ha calcolato che il combinato tra dazi e incertezza potrebbe abbassare la crescita italiana di 0,3% tra il 2025 e il 2026, incidendo soprattutto sull’export di beni (-1,2%) e sugli investimenti in macchinari (-0,4%).

L’ipotesi di una ritorsione tariffaria da parte dell’UE contro gli Stati Uniti, in risposta alle politiche protezionistiche di Washington, sarebbe un errore gravissimo, secondo il Centro Studi. Un’escalation commerciale colpirebbe direttamente i prezzi al consumo e la fiducia di imprese e famiglie, rischiando di bloccare del tutto la ripresa. Non è solo una questione diplomatica o politica: gli Stati Uniti sono uno dei principali partner economici dell’Italia, fuori dall’Unione Europea. Sono la prima destinazione extra-UE per beni, servizi e investimenti diretti esteri italiani. Il 10,8% di tutte le esportazioni manifatturiere italiane è destinato agli USA. Le vendite verso quel mercato attivano direttamente o indirettamente il 7% della produzione manifatturiera italiana, per un valore complessivo vicino ai 90 miliardi di euro.



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