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Gardini (Confcooperative) è “cautamente preoccupato” per l’Italia


Maurizio Gardini, nato nel 1959, forlivese, laureato in scienze agrarie, si occupa di agricoltura e industria da sempre. Dal 2013 è presidente di Confcooperative, l’associazione di tradizione “bianca” del movimento cooperativo e delle imprese sociali, e orgogliosamente ricorda di essere la più grande d’Italia, con 16.000 imprese, 550.000 occupati, 82 miliardi di fatturato e 3,3 milioni di soci. Dal 2000 Gardini è presidente del Gruppo Conserve Italia, un vero e proprio colosso dell’ortofrutta. Con i celebri marchi Cirio, Valfrutta, Yoga e Derby trasforma ogni anno 600mila tonnellate di frutta, pomodoro e vegetali. Con lui ragioniamo della situazione economica, che definisce preoccupante, ma non rovinosa. Sempre che si riesca ad evitare la guerra dei dazi, che costerebbe 2 miliardi di export e 18mila posti di lavoro.

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Maurizio Gardini

Presidente, cominciamo dalla notizia che domina le cronache: la guerra dei dazi. Immagino sarete giustamente allarmati. Quali potrebbero essere le ripercussioni per i vostri associati?

Le tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti rappresentano un motivo di seria preoccupazione per tutto il sistema imprenditoriale italiano, e dunque anche per noi. Il potenziale inasprimento dei dazi potrebbe avere conseguenze particolarmente gravi su settori cruciali per l’economia italiana e per il nostro movimento. In particolare, l’agroalimentare italiano, in cui la cooperazione ha un ruolo di assoluto protagonismo, rischia di subire un duro colpo, con possibili riduzioni dell’export verso un mercato strategico come quello statunitense. 

Avete fatto delle previsioni? 

Purtroppo, se le cose andassero male stimiamo una perdita di export di 2 miliardi soltanto nell’agroalimentare, e un contraccolpo occupazionale di 15.000 –18.000 occupati. I prodotti del Made in Italy, che rappresentano un’eccellenza riconosciuta globalmente, potrebbero vedere compromessa la loro competitività sui mercati internazionali, con ripercussioni a cascata sull’intera filiera produttiva nazionale. Ma anche il settore manifatturiero, dove operano numerose cooperative di produzione e lavoro, potrebbe risentire dell’aumento dei costi delle materie prime importate e della difficoltà di esportazione.

Sul tema dei dazi c’è chi sostiene che l’Italia dovrebbe rispondere con fermezza, e chi invece preferirebbe un approccio più diplomatico. Quale strategia ritenete più efficace? Cosa chiedete al governo?

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Noi siamo decisamente orientati a un approccio diplomatico e multilaterale. Una guerra commerciale non porterebbe vantaggi a nessuno, e potrebbe invece innescare spirali di ritorsioni dalle conseguenze imprevedibili. La nostra raccomandazione al governo italiano è di agire su tre fronti complementari. Primo, rafforzare il coordinamento europeo. È essenziale che il governo italiano lavori per una posizione europea unitaria e forte. Secondo, promuovere il dialogo bilaterale con gli USA. I legami storici, culturali ed economici tra Italia e Stati Uniti rappresentano un capitale relazionale prezioso che il governo dovrebbe valorizzare, attivando canali diplomatici ad ogni livello. Terzo, sostenere concretamente le imprese italiane, comprese le cooperative, attraverso strumenti di supporto all’internazionalizzazione, garanzie per l’export e incentivi per la diversificazione dei mercati. 

Avete avuto dei segnali in tal senso?

Per adesso abbiamo chiesto al governo di attivare un tavolo permanente di confronto con le parti sociali e le organizzazioni di rappresentanza, comprese le centrali cooperative, per monitorare costantemente l’evoluzione della situazione e definire strategie condivise di risposta.

Guerre commerciali a parte, qual è la vostra valutazione della situazione economica del Paese? 

Se si può dire così, io mi definirei “cautamente preoccupato”. Il quadro macroeconomico presenta elementi di fragilità che non possono essere sottovalutati, ma vorrei dire che ci sono anche opportunità che andrebbero colte. Le cooperative associate a Confcooperative segnalano un incremento significativo dei costi operativi, pressioni sulla liquidità e difficoltà crescenti nell’accesso al credito. E registriamo un rallentamento della domanda interna, con particolare riferimento ai consumi delle famiglie. Però è anche vero che ancora una volta il modello cooperativo sta dimostrando resilienza. Le cooperative, per loro natura, tendono a privilegiare la sostenibilità di lungo periodo rispetto ai profitti immediati, e questo le rende strutturalmente più attrezzate per affrontare periodi di incertezza.

I settori cooperativi legati all’innovazione, alla transizione ecologica e ai servizi alla persona mostrano segnali di crescita, e particolarmente significativo è il fenomeno dei workers buyout, con lavoratori che rilevano aziende in crisi trasformandole in cooperative. La vera sfida, a nostro avviso, non è solo superare questa fase di incertezza, ma utilizzarla come opportunità per ripensare profondamente il modello di sviluppo, orientandolo verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Le cooperative, con la loro governance partecipativa e il loro radicamento territoriale, possono essere protagoniste di questa trasformazione».

Tutti dicono che il costo dell’energia è troppo elevato. Che si dovrebbe fare per affrontare il problema?

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È così. Nonostante un certo assestamento rispetto ai picchi del 2022, i prezzi energetici restano significativamente più alti rispetto a prima della crisi. Bisognerebbe a breve termine rinnovare e potenziare le misure di mitigazione dei costi energetici per le imprese, con particolare attenzione ai settori più esposti alla concorrenza internazionale. Ma attenzione: gli aiuti devono premiare l’efficienza energetica, evitando di sostenere indiscriminatamente i consumi. A medio termine bisogna accelerare la transizione verso un mix energetico più sostenibile e meno dipendente dalle importazioni. E il movimento cooperativo è già protagonista di questa transizione, con oltre 500 cooperative energetiche attive in Italia. Però chiediamo un quadro normativo stabile e favorevole per le comunità energetiche rinnovabili. Infine, nel lungo periodo serve un piano strutturale di efficientamento energetico del sistema produttivo italiano. Noi delle cooperative, grazie alla nostra capacità di fare rete e di avere una visione, possiamo essere protagonisti di questo processo”.

Avrà letto, Presidente: un recente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro dice che i salari reali in Italia sono diminuiti del 9% dal 2008, mentre il costo della vita continua a crescere. Quanto pesa questo fenomeno sulle imprese e sul mercato del lavoro?

La contrazione dei salari reali è un fenomeno preoccupante: riduce il potere d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie, e deprime la domanda interna, con ripercussioni negative sulla crescita economica complessiva e dunque sulle stesse imprese. Le cooperative, per loro natura e missione, sono particolarmente sensibili a questa problematica. Il nostro modello d’impresa pone al centro la persona e il lavoro, non il capitale, e questo si traduce in una maggiore attenzione alla qualità dell’occupazione. Non è un caso che le cooperative, mediamente, garantiscano una maggiore stabilità occupazionale e una più equa distribuzione del valore prodotto rispetto alle imprese tradizionali.

E che si può fare per far crescere le buste paga?

Il primo passo è ridurre significativamente il cuneo fiscale sul lavoro, consentendo un aumento del netto in busta paga senza aggravare il costo del lavoro per le imprese. Le recenti misure in questa direzione vanno nella giusta direzione, ma sono ancora insufficienti. Poi bisogna promuovere la contrattazione collettiva di secondo livello, che può meglio collegare la dinamica salariale alla produttività e alle specifiche condizioni aziendali. E per far crescere la produttività bisogna investire massicciamente in formazione e innovazione. Le cooperative stanno già facendo la loro parte, con significativi investimenti in questi ambiti.

C’è anche il tema della partecipazione dei lavoratori, immagino a voi molto caro…

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Certo, è indispensabile valorizzare le forme di partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione delle imprese, pratiche che nelle cooperative sono già consolidate. La recente legge sulla partecipazione dei lavoratori rappresenta un passo avanti, ma occorre rendere questi strumenti più accessibili e attrattivi, anche sul piano fiscale. Confcooperative è impegnata a promuovere un’economia più equa e inclusiva, in cui la crescita economica si traduca in benessere diffuso e in cui il lavoro recuperi la centralità che merita. Come dice la nostra Costituzione, che riconosce la nostra funzione all’articolo 45”.

Roberto Giovannini



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