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“La risposta italiana ai dazi di Trump deve mettere al centro la transizione ecologica”


La risposta italiana ai dazi applicati o minacciati da Donald Trump ai Paesi dell’Unione europea dovrebbe mettere al centro il Green Deal e la transizione ecologica, riducendo la dipendenza dell’Europa e dell’Italia dai combustibili fossili, soprattutto dal gas, di cui gli Stati Uniti sono forti esportatori.

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È il richiamo di ECCO, il think tank indipendente per il clima, per il quale “la prima risposta dell’Italia ai dazi imposti da Trump arriva da risorse europee: il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e i fondi di coesione. Tali fondi devono essere spesi in modo efficace per rendere il nostro sistema produttivo competitivo e sicuro. Questo, nel lungo periodo, è possibile solo nell’ottica di un progressivo abbandono delle dipendenze energetiche fossili dell’Europa e dell’Italia -ha dichiarato Matteo Leonardi, cofondatore e direttore esecutivo di ECCO-. L’utilizzo dei fondi europei del Pnrr e del Green Deal per aiuti alle imprese non è però giustificato se l’Europa prometterà di importare più gas americano nella trattativa sui dazi. Questi fondi sono destinati proprio all’emancipazione dell’Europa dalle dipendenze energetiche e specificatamente dal gas, il cui costo ha trainato l’inflazione e il debito pubblico degli ultimi anni”. 

A inizio aprile infatti l’amministrazione statunitense ha annunciato l’imposizione di una serie di dazi commerciali verso numerosi Paesi. La Cina è stata soggetta alle imposizioni più pesanti mentre l’Unione europea è stata interessata da una tariffa anche del 20%. L’Ue ha prima nicchiato, poi risposto e da ultimo sospeso le contromisure, il 10 aprile, quando Trump ha annunciato un congelamento di 90 giorni dei dazi per tutti gli Stati coinvolti, a eccezione della Cina.  

L’8 aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato una prima risposta ai dazi statunitensi tramite lo stanziamento di 25 miliardi di euro a favore delle imprese. Questi fondi provengono da tre fonti diverse. I primi 14 miliardi verrebbero forniti da una revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza con lo scopo di “sostenere l’occupazione e aumentare l’efficienza della produttività”. I rimanenti 11 miliardi sarebbero ottenuti da una revisione della proposta di coesione approvata a inizio aprile dalla Commissione europea. E che, secondo il governo, “possono essere riprogrammati a favore delle imprese, dei lavoratori e dei settori che dovessero essere più colpiti (dai dazi, ndr)”. A questi fondi si aggiungerebbero ulteriori sette miliardi di euro che l’esecutivo dice di ottenere dal Fondo sociale per il clima e che verrebbero impiegati per “ridurre i costi dell’energia per famiglie e microimprese, attraverso misure per compensare i costi logistici e incentivare le tecnologie pulite”.  

Secondo quanto affermato dalla stessa Meloni al Senato, la crisi innescata dai dazi statunitensi potrebbe essere un’occasione per rendere il sistema economico italiano maggiormente competitivo. Un tema che tocca la stessa Unione europea ed era stato presentato più volte durante l’inizio della nuova legislatura comunitaria. In questo senso, Bruxelles, attraverso l’Affordable energy action plan sottolinea che “la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di combustibili fossili provoca volatilità dei prezzi dell’energia e l’aumento dei costi di approvvigionamento, e allo stesso tempo rende l’Ue più vulnerabile alle pressioni esterne e all’incertezza del mercato globale”.

“Il Fondo sociale per il clima, uno degli elementi fondanti del Green Deal che il Governo Meloni ha annunciato di voler rivedere in maniera sostanziale, ha una funzione precisa nella protezione e redistribuzione temporanea dei maggiori costi che derivano dall’affrancarsi dalle fonti fossili per le famiglie e le microimprese più vulnerabili -ha concluso Chiara Di Mambro, direttrice Strategia Italia ed Europa di ECCO-. Una questione che necessariamente deve accompagnarsi a politiche decise verso l’autonomia completa dell’approvvigionamento energetico, che, come ha sottolineato anche Mario Draghi nell’audizione in Senato del 18 marzo scorso, non potrà venire dal gas fossile”. 

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