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Il made in Italy nel portafoglio: a chi convengono oggi gli Eltif (che sono diventati più flessibili)


di
Pieremilio Gadda

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Gli strumenti chiusi con impegno decennale che consentono di investire su aziende non quotate hanno nuove regole che li rendono adatti ai risparmiatori privati. Ecco come si possono utilizzare

Le piccole e medie imprese italiane dipendono troppo dalle banche e hanno bisogno di accedere al mercato dei capitali per crescere più velocemente. Gli investitori privati, specialmente quelli con patrimoni importanti, cercano opportunità d’investimento con rendimenti superiori e possibilmente non correlati all’andamento dei listini.
Il punto d’incontro tra queste esigenze sono i mercati privati: azioni, bond, mattone e infrastrutture non quotati, accessibili per decenni quasi esclusivamente a operatori istituzionali, come fondi pensione e casse di previdenza, e oggi aperti anche ai piccoli risparmiatori. «Entro il 2033, prevediamo che gli investitori individuali contribuiscano per circa il 25% alla crescita dei mercati privati», dice Sergio Iardella, senior partner e responsabile italiano private equity di Bain & company. Un segmento che abbraccia una categoria molto ampia, dai mass affluent, con patrimoni inferiori al milione di euro, agli ultra high net worth individual, che dispongono di una ricchezza finanziaria superiore ai 30 milioni. Secondo uno studio Aipb, gli strumenti che – nella percezione dei clienti — mostrano un legame più forte tra investimenti privati e crescita dell’economia sono fondi comuni chiusi, club deal e co-investimenti, seguiti dalle azioni.

Offerta in crescita

«Gli Eltif sono lo strumento giusto per canalizzare i risparmi privati a favore delle piccole e medie imprese che più hanno sete di capitali», argomenta Andrea Ragaini, presidente di Aipb. Si tratta di fondi chiusi a lungo termine, con una durata media di 10 anni. L’industria sta lavorando a soluzioni per renderli meno illiquidi, garantendo la possibilità di disinvestire una piccola quota del capitale, in caso di necessità. Il 10 gennaio 2024 è entrato in vigore un nuovo regolamento che ha introdotto una versione aggiornata degli eltif, semplificandone l’accesso e ampliando gli investimenti ammissibili.
Secondo un’analisi Aipb, lo scorso anno sono stati lanciati 21 Eltif, contro i 15 nuovi arrivi dei due anni precedenti. «La gamma di prodotti disponibili in Italia è ancora limitata: si contano 82 fondi in totale a partire dal 2020. Ma l’offerta è destinata a crescere in futuro,a beneficio sia delle imprese che delle famiglie disposte a tenere ferme le proprie scelte d’investimento per un lungo periodo», osserva Ragaini.
Fino ad oggi — va detto — questi strumenti hanno faticato a trovare spazio. Un po’ perché richiedono un aggiornamento delle competenze da parte di consulenti e private banker per essere proposti nel modo corretto. Tutti gli intermediari ci stanno lavorando attraverso percorsi di formazione dedicati. Un po’ perché gli investitori italiani sono stati poco propensi a investire in strumenti illiquidi.




















































L’evoluzione

Da questo punto di vista, tuttavia, lo scenario è in evoluzione. Secondo quanto emerge dall’ultima indagine sulla clientela Private in Italia, firmata da Aipb con Bva-Doxa, oggi il 64% dei nuclei con patrimoni sopra i 500mila euro si dichiara disponibile a tenere investito una parte del proprio denaro per 10 anni in cambio di incentivi fiscali e/o maggiori rendimenti. Una quota in crescita negli ultimi tre anni (vedi grafico). «Sul piano delle performance, negli ultimi 25 anni i migliori fondi di buyout – la principale strategia nell’universo del private equity – hanno sovraperformato i mercati pubblici. La differenza del rendimento a 10 anni in termini di Irr netto (tasso di rendimento interno), misurata a fine 2024, è stata in Europa di circa 7,5 punti percentuali, mentre in Usa il gap si è rivelato più ridotto»— segnala Iardella — Negli ultimi 30 anni la crescita dei fondi di private equity è stata importante. Da qui in avanti, però, il mercato diventerà molto più selettivo. Solo le strategie più performanti riusciranno a raccogliere capitali: tra queste, i fondi di grandi dimensioni e quelli con una specializzazione tematica sono meglio posizionati».
L’attuale fase di forte volatilità sulle Borse e la generale incertezza alimentata dalla nuova ondata di tensioni commerciali «potrebbero nel breve rallentare il numero di operazioni nel private equity. Allo stesso tempo, la discesa dei mercati pubblici rappresenta nel breve una sfida per chi è impegnato in attività di fundraising, a causa delle allocazioni vincolate di molti investitori istituzionali. Nel medio periodo, un eventuale ritracciamento strutturale dei mercati quotati potrebbe ampliare il divario di performance rispetto ai mercati privati, rendendo questi ultimi più attrattivi», dice ancora Iardella. Essenziale è che questi fondi entrino nei portafogli di chi può tollerare l’illiquidità, per quanto mitigata. Il private equity non è per tutti.

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