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Danni ambientali: perché le aziende italiane non si assicurano (e cosa rischiamo tutti)


Solo lo 0,64% ha una polizza specifica e completa. Ma senza un’assicurazione per i danni ambientali, le imprese rischiano grosso e il conto spesso lo paga la collettività

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Se un’azienda inquina, chi paga? Molto spesso, la risposta è noi.

Nel nostro Paese solo lo 0,64% delle aziende possiede una polizza assicurativa che copra i danni ambientali. È quanto emerge dall’ultima elaborazione del consorzio di coriassicurazione Pool Ambiente su dati ANIA.

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Tradotto: se si verifica un disastro ecologico e l’impresa responsabile non è assicurata (come accade nel 99% dei casi), la bonifica spetta alle istituzioni. Ma se anche queste mancano di fondi, a pagare – in termini ambientali, sanitari ed economici – sarà l’intera comunità.

Eppure la copertura esiste, funziona e ha senso. Le polizze di responsabilità ambientale non sono un vezzo, ma un vero strumento di prevenzione e sostenibilità, capace di salvaguardare territorio, biodiversità, cittadini e anche le imprese stesse. Coprono costi milionari di bonifica, ripristino delle risorse naturali e risarcimento danni. E possono fare la differenza tra un disastro contenuto e un’eredità tossica per intere generazioni.

A fare eccezione è solo il settore rifiuti, dove l’obbligo di polizza ambientale imposto dalla Regione Veneto ha spinto la copertura al 21,16% delle imprese. Un caso più unico che raro, in un panorama in cui anche settori potenzialmente ad alto impatto come il chimico (11,87%) o il petrolifero (4,19%) restano ancora indietro.

Una copertura (quasi) inesistente

Ma perché le imprese italiane non stipulano queste assicurazioni? Secondo il presidente di Pool Ambiente, Tommaso Ceccon, il problema è culturale. Troppi pregiudizi, poca informazione. Le polizze ambientali sono ancora percepite come una spesa accessoria, un lusso per aziende grandi o a rischio elevato, mentre in realtà rappresentano un presidio fondamentale di sostenibilità.

Non si tratta solo di responsabilità. Le polizze per i danni all’ambiente rientrano tra gli strumenti in grado di incidere positivamente sul rating ESG (Environmental, Social and Governance), parametro sempre più centrale nella valutazione di un’azienda da parte di investitori, consumatori e istituzioni.

E se succede il disastro? In mancanza di copertura assicurativa, l’impresa è tenuta per legge a rispondere direttamente dei costi di bonifica, ripristino delle risorse naturali danneggiate e risarcimenti. Ma se non ha le risorse per farlo? Può fallire. E succede spesso.

Il risultato? Nessun intervento per anni. Oppure bonifiche avviate solo dopo complessi iter giudiziari e stanziamenti pubblici, a spese della collettività. È successo, succede e succederà ancora, finché non si comprenderà che una polizza ambientale non è una voce di bilancio da tagliare, ma un investimento di lungo periodo, utile a tutti.

Una mappa a due velocità Dal punto di vista geografico, solo Veneto e Friuli Venezia Giulia superano l’1% di imprese assicurate. La Campania è fanalino di coda, con il peggior rapporto tra numero di aziende attive e polizze stipulate. Il Centro-Nord appare in vantaggio, ma resta comunque ben sotto il livello di guardia. E la situazione migliora solo leggermente rispetto al passato: le regioni con copertura sotto la media sono scese da 13 a 11.

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Serve un cambio di passo (e di visione)

Secondo l’Associazione Italiana dei Broker di Assicurazione (AIBA), l’approccio va rovesciato: bisogna agire non solo ex post, quando il danno è fatto, ma anche e soprattutto in prevenzione. Questo significa promuovere comportamenti sostenibili, tecnologie più sicure e soprattutto conoscenza del rischio.

I broker possono fare da ponte, supportando le aziende nella comprensione e gestione dei rischi ambientali e stimolando il mercato assicurativo a creare prodotti su misura. Ma serve anche una strategia politica più chiara: normative, incentivi e un quadro certo in cui l’assicurazione ambientale diventi la regola, non l’eccezione.

Una questione di giustizia ecologica

Il danno ambientale non è mai solo un danno tecnico. Colpisce risorse comuni, spesso irreversibili: acqua potabile, biodiversità, aria, paesaggi. Proteggerli attraverso strumenti concreti come le polizze non è un tecnicismo da specialisti, ma una questione di giustizia ecologica e sociale.

Perché se una fabbrica prende fuoco, fallisce l’azienda. Ma se una falda viene inquinata, a rimetterci è l’intera comunità. Anche per questo, forse, è arrivato il momento di invertire la rotta. E iniziare a considerare l’assicurazione ambientale non più come un’opzione, ma come un dovere collettivo.

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