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Le imprese piemontesi tornano a crederci. Ma il Canavese affonda e l’export zoppica


Dopo tre trimestri consecutivi di pessimismo, le imprese piemontesi iniziano a rivedere la luce. A sorpresa, proprio nel bel mezzo di uno scenario globale segnato da tensioni commerciali, incertezze geopolitiche e rincari generalizzati, il clima di fiducia tra imprenditori torna positivo. Lo certifica l’indagine congiunturale realizzata a marzo dal Centro Studi dell’Unione Industriali Torino su un campione di circa 1.300 aziende del sistema confindustriale piemontese. Un piccolo segnale di ripresa, dopo mesi difficili.

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Le aspettative migliorano su tre fronti chiave: produzione (+4,4%), occupazione (+7%) e ordini (+2,9%). Cala invece la fiducia sull’export (-3,6%) e sulla redditività (-5,2%). A pesare, qui, è soprattutto la questione dei dazi americani: attesi dal 2 aprile, ma poi rimandati di 90 giorni. Un rinvio che non ha evitato l’effetto psicologico: le aziende li hanno considerati ormai inevitabili e li hanno anticipati nei loro piani.

Ma la voglia di investire non manca. Più del 70% delle imprese conferma investimenti in corso, e un’impresa su quattro ha programmato l’acquisto di nuovi impianti. Si assesta anche l’utilizzo degli impianti (77%) e si riduce leggermente il ricorso alla cassa integrazione (attivata dal 10,5% delle aziende, 14,1% nel solo comparto manifatturiero).

“È un risultato migliore del previsto”, commenta Andrea Amalberto, presidente di Confindustria Piemonte. “Le nostre imprese dimostrano resilienza e capacità di adattamento, anche in un contesto difficile. È un segnale importante che va colto per continuare a investire, innovare e rafforzare la competitività”.

Ma la fotografia non è uniforme. I dati regionali nascondono differenze importanti tra settori, territori e dimensioni aziendali. Nel manifatturiero prevale ancora la cautela: il saldo tra ottimisti e pessimisti sulla produzione è appena sopra lo zero (+1,7%). Decisamente più vivace, invece, il terziario, che continua a crescere sulla scia della trasformazione post-pandemica, con un saldo positivo del +10,4%.

A livello settoriale, si segnalano attese positive nella chimica (+10,4%), nell’edilizia e impiantistica (+15,3%), nel cartario-grafico (+24,1%) e nel tessile-abbigliamento (+5,9%). Ma è ancora la metalmeccanica a tirare il freno, con un saldo negativo del -6,1%, che sprofonda fino a -24,6% nell’automotive, settore sempre più in crisi strutturale, e a -2,7% nella meccatronica.

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Sul versante dei servizi, invece, le attese sono tutte orientate al rialzo. Spicca l’ICT, che guida la classifica con un ottimistico +23%. Anche qui, però, la dimensione fa la differenza: le imprese con meno di 50 dipendenti mostrano un saldo fiducia sulla produzione del +3,2%, che sale a +7,2% tra quelle con più di 50 addetti. Più si esporta, invece, più aumentano le preoccupazioni: chi vende all’estero oltre il 60% del fatturato registra un saldo negativo (-0,5%), mentre chi resta sotto il 10% sorride con un +7,3%.

Il quadro si complica ulteriormente guardando alle singole province. Verbania (+15,7%) e Asti (+11,4%) guidano la ripresa, seguite da Biella, che torna positiva dopo sette trimestri (+7,5%), da Cuneo (+6,7%) e Torino (+4,5%). Alessandria (+3,5%) e Novara (+2,5%) mostrano segnali deboli ma positivi, mentre Vercelli (-4,8%) e il Canavese (-7,1%) restano al palo. Quest’ultimo, in particolare, conferma il suo momento buio, con un tessuto industriale sempre più fragile e sfiduciato.

Torino, come capoluogo regionale, offre una lettura interessante: il 22,2% delle aziende prevede un aumento della produzione, contro un 17,6% che teme un calo. Il saldo positivo (+4,5%) migliora rispetto allo scorso trimestre (+0,3%), ma nella manifattura la crisi dell’auto continua a pesare, trascinando il dato sottozero (-1,8%). Leggero miglioramento negli ordini (+1,6%) e buona propensione agli investimenti (23% delle imprese prevede spese significative). Il tasso di utilizzo degli impianti si ferma al 76%, in linea con la media storica. Male, anche qui, l’export (-4,7%).

Preoccupa, infine, l’aumento atteso dei costi di produzione: energia, materie prime e logistica in testa. I tempi di pagamento restano stabili, ma cresce il numero di aziende con ordini a medio-lungo termine, a dimostrazione di una domanda che non si è mai del tutto spenta.

Insomma, le imprese piemontesi provano a rimettersi in marcia, ma lo fanno con prudenza. La fiducia c’è, gli investimenti pure, ma la ripresa è ancora fragile, disomogenea, a macchia di leopardo. Tra chi punta sull’innovazione e chi arranca nella crisi, la vera sfida sarà trasformare questa timida ripartenza in una crescita vera, duratura e soprattutto condivisa.





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