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la paura di fallire frena la spinta imprenditoriale


La capacità imprenditiva (cioè la spinta imprenditoriale) che ha caratterizzato l’Italia, permettendole di diventare una delle principali economie mondiali, sembra rallentare. Tra i Paesi europei l’Italia si colloca al secondo posto per numero di imprese attive (dietro alla Francia), ma al terz’ultimo posto per tasso di natalità, ovvero il rapporto tra il numero di attività avviate in un anno rispetto a quelle attive nell’anno precedente. È quanto emerge dal rapporto “Italia generativa – Giro di boa”, presentato l’8 aprile a Roma e realizzato dal Centro di ricerca Arc dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, promosso da Fondazione poetica per la Generatività sociale e Genialis, con la collaborazione di Unioncamere. Il Rapporto, giunto alla sua terza edizione, analizza lo stato del tessuto imprenditoriale e dell’economia italiana. 

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Gli indicatori di un’economia poco dinamica

L’edizione di quest’anno è dedicata all’imprenditività, un indicatore della generatività sociale, ovvero della possibilità di dare inizio a nuovi processi e forme sociali produttive, rigenerando così la vita sociale ed economica di un Paese. Aprire una nuova attività presuppone la capacità di assumersi un rischio ed è per questo “un atto di fiducia nella vita e nel futuro”, come si legge nella prefazione del Rapporto.

Come detto, l’Italia presenta un basso tasso di natalità delle imprese rispetto agli altri Paesi europei (7,9% rispetto al 10,5% della media Ue). Tra il 2018 e il 2023 i settori più dinamici sono stati quelli con un forte legame con innovazione, creatività e formazione, in particolare nell’ambito della pubblicità e delle ricerche di mercato, dei servizi finanziari (escluse le assicurazioni e i fondi pensione), delle attività postali e di corriere (spinte dall’espansione dell’e-commerce) e della produzione di software e consulenza informatica. Una dinamicità che riflette l’evoluzione della domanda per i servizi digitali, finanziari e formativi nel mercato italiano per cui sono necessarie competenze specializzate e sviluppo tecnologico. 

L’Italia si colloca anche nelle ultime quattro posizioni per churn rate, la somma del tasso di natalità e di mortalità delle imprese (il rapporto tra il numero di imprese chiuse in un anno e il totale delle imprese attive nell’anno precedente). Un churn rate basso indica un mercato poco dinamico e innovativo. L’Italia presenta valori di churn rate inferiori alla media europea (14,6% rispetto a 19,2%) in tutti settori eccetto la sanità e l’assistenza sociale, l’istruzione e le attività artistiche, ricreative e del divertimento.

Cosa frena la spinta imprenditoriale

Tra gli ostacoli alla nascita di nuove imprese c’è la paura del fallimento: nel 2023 in Italia il 48,5% delle persone tra i 18 e i 64 anni ha dichiarato di non voler avviare una impresa per timore di fallire, pur percependo buone opportunità imprenditoriali. Il dato italiano è superiore a quello di Paesi come Germania (38,6%), Francia (40,1%) e Spagna (46,2%), ma inferiore a quello di economie come Regno Unito (53,2%) e Grecia (53,16%).

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Inoltre, l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa per imprenditorialità giovanile: nel nostro Paese il 5,6% dei giovani tra i 15 e i 30 anni ha già avviato un’attività, mentre il 13% dichiara di essere in fase di avviamento. La percentuale di giovani italiani che intendono avviare un’impresa, però, è più elevata rispetto al resto dei Paesi europei. “Questo divario tra la quota di giovani che hanno già avviato un’impresa e quella di chi si trova ancora nelle fasi iniziali del processo imprenditoriale suggerisce la presenza di ostacoli strutturali che rallentano la transizione dalla preparazione all’effettiva realizzazione dell’attività” si legge nel Rapporto.

La principale barriera all’imprenditorialità giovanile è la mancanza di risorse finanziarie, indicata dal 18,5% degli intervistati, un valore leggermente superiore alla media dell’Ue (16,2%). A scoraggiare le giovani generazioni contribuiscono anche la percezione di non essere presi sul serio dagli investitori, la mancanza di conoscenze o competenze specifiche e le preoccupazioni legate agli aspetti legali e amministrativi.

Consulta il Rapporto

 

Copertina: Unsplash



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