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Le guerre commerciali fanno male, alla difficile ricerca di un nuovo equilibrio


Le guerre commerciali inaugurate da Trump possono danneggiare l’economia globale e mettere a repentaglio partnership commerciali di lunga data. La situazione è fluida ma la direzione è chiara, con la Cina obiettivo primario delle restrizioni. Il libero scambio dà impulso alla crescita, le restrizioni commerciali la frenano, come ha già mostrato la guerra commerciale del 2018 che ha indotto battuta d’arresto globale. A breve i dazi provocano un rincaro dei beni importati, riducendo il potere d’acquisto dei consumatori, mentre influiscono sulle decisioni delle imprese, restie a investire, e i mercati devono fare i conti con uno scenario meno efficiente.

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RISCHI MAGGIORI NEL LUNGO TERMINE

AllianceBernstein, in un commento sulle guerre commerciali, ne analizza gli effetti per l’economia mondiale, sottolineando che sul lungo periodo comportano rischi ancora maggiori, e anche se si riuscirà a scongiurare gli scenari peggiori, i Paesi potrebbero essere costretti a schierarsi con gli USA o con la Cina, accelerando la deglobalizzazione. AllianceBernstein ritiene che siamo ancora lontani dagli esiti più gravi e nel suo scenario di riferimento le tensioni commerciali non sfociano in un vero e proprio conflitto, e le restrizioni rallentano l’economia globale, senza però arrestarla del tutto, ma ci saranno conseguenze, specialmente per la Cina.

LE DIFFERENZE CON IL 2018, L’IMPATTO SUL SUD DEL MONDO

A differenza del 2018, la Cina è meno dipendente dagli USA e meno vulnerabile alle guerre commerciali, con una quota della produzione manifatturiera globale ancora maggiore, mentre le esportazioni verso gli USA sono scese da quasi il 20% a meno del 15% e oggi gli USA contribuiscono per appena il 3% al PIL cinese. AllianceBernstein ritiene che in questo quadro schierarsi sia un’arma a doppio taglio, citando i casi di Messico e Corea del Sud, e spiegando che negare l’accesso a tutte le merci cinesi minaccerebbe la crescita globale. Per parte sua, la Cina dovrà convincere i partner a mantenere le relazioni commerciali, un aspetto molto rilevante per i Paesi dell’emisfero meridionale, verso i quali il surplus cinese è cresciuto maggiormente.

IMPRESE DI FRONTE A SCELTE STRATEGICHE

Un’altra strategia per le imprese è il trasferimento dell’intera catena di fornitura, comprese la proprietà intellettuale, fuori della Cina, come fece il Giappone negli anni ’80. Ma in un mondo in deglobalizzazione, prosegue l’analisi di AllianceBernstein, relazioni commerciali e cicli economici sono sempre più disconnessi e isolati, variando da una regione all’altra, indicando una minor efficienza dell’economia mondiale. Inoltre, il trade-off crescita/inflazione potrebbe diventare meno favorevole, uno sviluppo sgradito sia alle banche centrali che agli investitori.

DECISIONI DI INVESTIMENTO PIU’ COMPLICATE

Per questo, secondo AllianceBernstein, le imprese dovranno valutare attentamente su quali mercati focalizzarsi, decidere quali tecnologie, catene di fornitura e materiali utilizzare, in un contesto che rende più complicate le decisioni d’investimento delle imprese. Mentre la direzione sembra chiara, la rapidità e l’entità degli sviluppi sono incerti. Gli incoraggianti segnali di innovazione tecnologica potrebbero compensare in parte il danno delle guerre commerciali, e i fautori del protezionismo potrebbero alla fine decidere di evitare danni troppo gravi, favorendo una maggiore stabilità nel tempo.

LA RESILIENZA DEL SETTORE PRIVATO, ALLA FINE UN NUOVO EQUILIBRIO

Inoltre, osserva in conclusione AllianceBernstein, non bisogna sottovalutare la resilienza del settore privato e la sua capacità di trovare soluzioni a nuovi problemi, per cui gli investitori devono mantenere la giusta prospettiva. La deglobalizzazione e le tensioni commerciali non sono un bene, ma non è detto che debbano essere catastrofiche. Dopo oltre 20 anni di crescente interconnessione, forse è inevitabile che il mondo si muova per qualche tempo nella direzione opposta, e per quanto le fasi di tensione possano essere difficili e sgradevoli per gli investitori, presto o tardi si arriverà a un nuovo equilibrio.



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